Settantaquattro voci, fra cui daghe, pugnali, gagliardetti e manoscritti. È il gruppo di reperti offerto al Museo D’Annunzio eroe, ospitato al Vittoriale degli italiani, e che proprio ieri, con la nuova integrazione, ha abbandonato il vecchio nome di Museo della guerra.
Le onorificenze e i cimeli storici appartengono all’ambasciatore Antonio Benedetto Spada, che da collezionista assiduo si è trasformato in esperto della materia. E, alla vigilia delle ottanta primavere, ha voluto depositarli alla struttura di Gardone Riviera (Brescia) in un prestito ventennale rinnovabile. “Mi piace pensare -ha detto- che i miei preziosissimi oggetti trovino la giusta collocazione”.
L’importanza documentaria -ha aggiunto il presidente del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri- “è strepitosa”, anche perché il complesso possiede decine di migliaia di oggetti scelti dal Vate per sé, ma pochissimi da lui offerti. Mentre quelli della raccolta Spada sono principalmente testimonianze donate a D’Annunzio o da lui stesso regalate ad amici e amanti.
Tra i materiali, naturalmente, non mancano le lettere. Come quella su carta intestata “Reggenza italiana del Carnaro - comando dell’Esercito italiano”, indirizzata dal poeta-soldato ai legionari bresciani l’1 luglio 1928, riguardante l’attacco rivolto contro uno di loro ed annunciante un’indagine; la missiva, caratterizzata dal motto “Io ho quel che ho donato”, spedita il 3 giugno 1928 all’artista bresciano Giovanni Fumagalli; lo scritto inviato il 29 agosto 1927 al presidente dell’Associazione dei bersaglieri.
Più inconsueto è l’originale del messaggio che lasciò nella baia di Buccari nella notte fra il 10 e l’11 febbraio 1918, controfirmato dallo stesso autore tre anni dopo per garantirne l’autenticità.