Mentre c’è attesa per quel che deciderà a brevissimo il Governo, questa mattina alla Camera dei deputati Istituto Bruno Leoni e Glocus hanno presentato il dossier “Liberalizzare e crescere. Dieci proposte al governo Monti”. Dove un capitolo è dedicato al servizio postale.
La terza direttiva comunitaria -viene ricordato- è stata recepita dall’ordinamento italiano con il decreto legislativo n°58 del 31 marzo 2011. Anche se appare “deludente sotto vari profili, e presenta ampi spazi di miglioramento”. La disciplina, infatti, interviene con ritardo in un mercato ancora sostanzialmente monopolistico; al tempo stesso, “denota una serie di inadeguatezze che ne compromettono la solidità d’impianto e non permettono di presagire un percorso di effettiva apertura competitiva”.
Superato -con il “decreto salva Italia”- lo scoglio dell’Agenzia ministeriale, secondo i relatori sarebbe opportuno ridurre l’ambito del servizio universale al perimetro minimo previsto dalla norma continentale e, soprattutto, eliminare ogni residuo di riserva -inclusa quella sulle notifiche di atti giudiziari- “oramai incompatibile”.
Un altro problema è l’assegnazione diretta a Poste italiane dello stesso servizio universale per tutte le categorie merceologiche, sull’intero territorio nazionale e per un periodo di quindici anni: “un intervento minimo non può prescindere da un’assegnazione con gara ad evidenza pubblica e da una più congrua definizione dei limiti qualitativi, temporali e territoriali”.
Istituto e Glocus ritengono che l’operazione di riforma sia a costo zero per il bilancio pubblico e, nel caso di una privatizzazione parziale o totale del monopolista, potrebbe determinare entrate straordinarie derivanti dalla cessione di rami d’azienda. Sapendo che la privatizzazione “è certamente possibile e auspicabile, ma di non semplice realizzabilità”: richiederebbe il famoso “spezzatino”, in cui il valore totale dei singoli ambiti alienati sarebbe probabilmente inferiore a quello attuale del gruppo. Il presupposto è “una trasparente societarizzazione delle diverse attività -attualmente Bancoposta è separato dai servizi postali solo dal punto di vista contabile- con un chiaro ruolo attribuito alla rete degli uffici postali, vero asset strategico del gruppo attraverso cui vengono commercializzati prodotti e servizi”. In questo senso, potrebbe essere utile il confronto con altri operatori, che hanno separato gli uffici dal resto. L’obiettivo non è trasformare il Bancoposta in una banca; al tempo stesso, si lascerebbe allo Stato la possibilità di sfruttare la rete per erogare propri supporti ai cittadini. Si potrebbe privatizzare l’intero gruppo con la vendita di alcune quote societarie, “mantenendone l’unitarietà proprietaria, per procedere poi gradualmente a successive vendite fino alla completa dismissione”, ad oggi realizzata solo in Germania e nei Paesi Bassi. Come in altri casi -conclude il rapporto- “la maggiore resistenza alle riforme viene dall’operatore monopolista e dai sindacati di settore”.