Il significativo ampliamento delle attività registrato negli ultimi tempi da Cassa depositi e prestiti a più di un osservatore ricorda in qualche modo l’Iri d’antan. Ed ora approda in Parlamento. Dove un preoccupato Marco Beltrandi del Partito democratico è il primo firmatario di un’interpellanza sul tema. Interpellanza rivolta al ministero dell’Economia e delle finanze, che controlla Cdp nel settanta per cento delle quote, avendo lasciato le restanti alle fondazioni di origine bancaria.
La Cassa -ricorda il deputato- “dovrebbe svolgere un ruolo chiave nel finanziamento degli investimenti pubblici in Italia. La sua missione include, tra l’altro, lo sviluppo di infrastrutture per i servizi pubblici a carattere locale”. Controllata dallo Stato, “è nata per finanziare gli Enti locali, ma dall’analisi della realtà fattuale pare si comporti come un comune fondo d’investimento alla ricerca di profitti”. In realtà, è “una banca, presieduta da Franco Bassanini, più volte titolare del dicastero della Funzione pubblica, ed è oggi la più «liquida» d’Italia”.
Dispone -ed è qui il nocciolo del problema- “di risorse messe a disposizione da clienti ignari: tutti i cittadini italiani che sottoscrivono un libretto alle Poste o un buono fruttifero postale, e che magari pensano che la raccolta della Cassa depositi e prestiti serva ancora, ed esclusivamente, a garantire i mutui per gli investimenti che gli Enti locali sono chiamati a realizzare”.
Oggi, però, non è più esattamente così: “i settori strategici in cui opera sono la difesa, la sicurezza, l’energia, le infrastrutture di trasporto e comunicazione, i servizi pubblici, l’high tech e i servizi finanziari. Si tratta, in questo caso, di diventare e comportarsi come azionisti. Non più da erogatori di mutui… È di fatto il nostro fondo sovrano, uno dei pochi colossi che circolano nello scenario bancario italiano”. E ciò senza soffermarsi sulle persone, sempre le stesse, che ruotano assumendo gli incarichi chiave. Segnatamente, proprio quell’Ettore Gotti Tedeschi, ora nelle cronache per essere stato sfiduciato come presidente dello Ior.
Ad avviso dell’interrogante, “nei fatti narrati vi è l’essenza di quello che Ernesto Rossi definiva un capitalismo inquinato, fatto di un’economia domestica che sta lentamente morendo, schiacciata sotto il peso di un cancro politico e istituzionale, che erode i fondamenti sui cui poggia il nostro sistema economico e industriale. Questo cancro è il conflitto di interessi tra politica ed economia, tra banche e industria, tra banche e finanza”.