Vittore Baroni? A sentire lui, dice che non gli piace parlare, ma quando spiega la mail art è un piacevole... vulcano di informazioni e aneddoti. La dimostrazione questa sera al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dove -sotto al titolo “Mail art, l’avanguardia viaggia per posta!”- ha sintetizzato l’esperienza personale collocandola nel contesto più ampio del movimento artistico. Che -attenzione- secondo l’esperto non va considerato tale, perché “è una strategia, caratterizzata dall’essere gratuita, un mezzo di scambio fra artisti”.
Certo, è nata negli anni Sessanta inserendosi nella controcultura tipica del periodo (non a caso, nell’ambito della mostra “La magnifica ossessione” proposta proprio al Mart, è citata nella sala omonima). È stata impiegata per le cause più diverse e da fasce generazionali differenti. Però, non bisogna perdere di vista i predecessori. La lista è lunga e pesca ad esempio nell’Art nouveau come nel Futurismo, richiamando nomi di peso. Fra loro, Alfons Maria Mucha, che ha studiato pure il verso delle cartoline, Fortunato Depero, che prevedeva lo spazio per francobollo e indirizzo, Marcel Duchamp, che si divertiva a spedire via posta strane corrispondenze al suo vicino di casa (un’operazione definita dall’oratore “concettuale”), Tullio Crali, che faceva in autonomia “francobolli” e cartoline... D’altro canto, da quando la posta si è diffusa a tutti i livelli, “la gente ha trovato il modo per renderla interessante, e magari di non pagare il francobollo”.
Ma cos’è l’arte postale? “Una cosa un po’ effimera, una sorta di fenomeno invisibile, anche perché ha sempre voluto evitare il mercato; era aperta a tutti ma come presente, nel senso di regalo. Infatti, non ha mai realizzato grandi cifre, coloro che la seguono sono i reietti del mercato”.
Quante persone ha coinvolto? “C’è chi scrive 300mila interessati negli anni Settanta, ma è esagerato. Diciamo qualche migliaio”.
La relazione è stata infarcita di curiosità: dalle “cartevalori” d’artista messe in vendita alle mostre usando veri distributori automatici postali, alle cartoline affrancate e indirizzate diversamente sui due lati, così da dare la possibilità al postino di scegliere a chi consegnarla. E senza dimenticare le missive redatte su carta moschicida, così da costituire una… opera d’arte già nel momento in cui venivano gettate nella buca.
Rivelando persino aspetti drammatici. Prima della caduta del “Muro”, in Germania Democratica o in Polonia si tenevano mostre d’arte contemporanea in luoghi privati, e non mancava l’arte postale; per i partecipanti era una porta aperta sul mondo, ma per il regime rappresentava qualcosa di sospetto, da tenere sotto controllo. Lo dimostrano i casi di coloro che sono finiti in galera per aver compiuto atti che potevano essere interpretati in modo equivoco, oppure i materiali silenziosamente sequestrati e poi ritrovati negli archivi della Stasi. Fatti simili sono stati registrati in Sudamerica.
E Ray Johnson, considerato tra i padri fondatori? Gli episodi che sono associati al suo nome non si contano, persino il modo in cui è morto viene interpretato come un’ultima performance. “È stato l’unico ad aver ottenuto un riconoscimento ufficiale, in quanto il suo materiale è stato consegnato dagli eredi ad una galleria d’arte”. In fondo, una contraddizione!
Quanto a Baroni? Lui ha iniziato nel 1977, dopo aver conosciuto Guglielmo Achille Cavellini. All’epoca, era facile entrare nel giro: “ti bastava avere cinque indirizzi cui scrivere, ma poi questi aumentavano in successione geometrica. Un’esperienza molto arricchente”, durata decenni.