Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dov’è in corso la mostra “La magnifica ossessione”. Mostra che comprende anche diverse citazioni postali e non mancano le cartoline. Parlando di queste ultime -ha detto stasera il giornalista Duccio Dogheria per introdurre il relatore della conferenza “L’arte e la cartolina dall’Art nouveau al Postmoderno”- “non potevamo non invitare uno dei massimi esperti internazionali, Enrico Sturani”.
Collezionista, ma molto particolare. Intanto, il suo “tesoro” è valutabile in circa due metri cubi di materiale, sapendo che l’unità di misura standard è la... scatola da scarpe. Lui, però, non è fra coloro che raccolgono solo Italia, magari solo se riguardanti un determinato paesino e solo fino ad un certo anno. Il suo approccio è differente: cercare di andare oltre alla mera classificazione per trarne un messaggio che è, al tempo stesso, artistico e culturale.
Ecco perché l’analisi si fa a 360 gradi. Cominciando dagli autori: “Quello che conta -dice- è l’opera, non chi l’ha fatta. Bella cosa fare una cosa bella, se ci si chiama Dalí o Picasso. Ma sono più frequenti i casi -vedi Guttuso o De Chirico- in cui, in questo settore, si zoppica”. Perché determinati maestri non hanno saputo tenere conto delle dimensioni e delle peculiarità che caratterizzano la cartolina. E, magari vi sono degli illustri sconosciuti (senza contare coloro che sono rimasti anonimi) che hanno fatto cose egregie.
Un periodo particolare, quello del boom, va registrato tra il 1899 ed il 1904. Allora, la cartolina rappresentava “una mania collettiva”, c’erano cataloghi, riviste per collezionisti destinate alle signorine di buona famiglia ed altre, con temi più seriosi, riservate agli uomini. La moda del Giappone fa registrare una grande richiesta per tale repertorio iconografico, anche se i soggetti che giungono in Occidente, nel Paese di origine, già sono considerati leziosi. Alle geishe o ai fiori di ciliegio, laggiù, ormai, si privilegiano gli aspetti della quotidianità, anticipando, quasi una “Avanguardia involontaria”, richiami che qui sono arrivati dopo.
Nella prima fase, un lato dei supporti postali è riservato obbligatoriamente al solo indirizzo, per cui ci si deve destreggiare per ricavare, nell’altra facciata, i necessari spazi per i messaggi e le firme. C’è chi s’ingegna, giocando sui colori e sul disegno, così da creare un qualcosa di armonico e magari inducendo il mittente ad interagire, pur rispettando la normativa. E c’è anche chi si concentra sul lato dell’indirizzo, andando oltre alle banali linee per indicare dove apporre il francobollo e dove scrivere il recapito.
Il “mondo” cambia quando si cambiano le regole: dal 1904 è possibile annotare le comunicazioni dalla parte postale, per cui l’immagine può ingrandirsi. “Ormai, però, la cartolina diventa altro, un quadretto; perde la sua specificità”. Vi sono un filone più realista ed un altro che punta al simbolismo; spesso non sono altro che la versione miniaturizzata del manifesto. Tanto che appaiono più originali le tirature realizzate per qualche evento locale, meno vincolate da stereotipi e convenzioni. Eppure -ammette lo specialista- non mancano le eccezioni: ecco ad esempio un Mimmo Rotella, un Andy Warhol, un Marcello Diotallevi... Né le produzioni curiose, come quelle complete di disco in vinile, magari contenente una benedizione papale...