Fin qui (news precedente) la cronaca. Ma a cosa servivano queste dotazioni? Secondo gli esperti, vennero preparate agli inizi del Novecento; di sicuro furono impiegate durante la Seconda guerra mondiale, ma non solo. Risultavano utili, infatti, ovunque ci fosse una significativa presenza di soldati lontano dai centri abitati o in movimento. Che, quindi, aveva bisogno di corrispondere con famiglia ed amici, ricevere pacchi e soldi.
In epoca repubblicana, i materiali vennero ripristinati ed aggiornati, ad esempio nello stemma e nella modulistica. Finirono dislocati in varie strutture postali del Paese, in attesa di un loro impiego. Impiego che per fortuna non fu necessario, se non a scopo dimostrativo: foto d’epoca rappresentano il tendone con gli accessori, ad esempio, durante la “Mostra della meccanizzazione postale della Comunità Europea”, che si tenne a Roma nel 1956. Molto probabilmente, gli stessi materiali servirono presso strutture di vacanze e in occasione delle Olimpiadi del 1960. Poi, caddero nel dimenticatoio, nascosti negli scantinati. Solo la vendita degli immobili ha permesso loro di riemergere…
Secondo una ricerca di “Vaccari news”, sicuramente parziale, nel 1996 furono trovate sei casse a Udine (da esse si ricavò l’ufficio contraddistinto col numero 23, ora finito al Museo postale e telegrafico della Mitteleuropa di Trieste); nel 2005 se ne aggiunsero quattro individuate a Novara (è il 51, poi portato alla filiale di Torino); due anni ancora e toccò a Verona, dove se ne trovarono otto (il 2 è conservato alla direzione di Mestre, il 5 al Museo “Walter Rama” di Rivoli Veronese). I contenuti sono stati restaurati e valorizzati, in allestimenti permanenti o impiegati per iniziative temporanee.
Ben più sostanziosa è la fornitura individuata a Bari. Intorno agli anni Novanta, furono ritrovate circa venti casse, chiuse e sigillate con ceralacca, viene spiegato alla redazione. Una di queste, semiaperta, racchiudeva appunto attrezzature analoghe, risalenti al periodo delle Regie poste. In seguito furono portate a Roma (forse non tutte, come sostiene perlomeno un testimone oculare), presso quello che adesso si chiama Museo storico della comunicazione. Quindi, ministero dello Sviluppo economico. Si pensava di esporle: però, lo spazio non era disponibile e sono state stoccate in magazzino.