Una tariffa fissata a 70 lire e curiosamente rimasta inalterata per vent’anni. Appena un arrotondamento a 4 eurocentesimi, nel momento in cui si cambiò moneta. Tariffa che -secondo quando ha deciso il Consiglio dei ministri (news precedente)- deve essere abolita.
Venne introdotta dalla legge 515 del 10 dicembre 1993, intitolata “Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica”. L’articolo 17 prevede che ciascun candidato in un collegio uninominale e ciascuna lista di candidati in una circoscrizione possano usufruirne inviando materiale propagandistico “per un numero massimo di copie pari al totale degli elettori iscritti nel collegio per i singoli candidati, e pari al totale degli elettori iscritti nella circoscrizione per le liste di candidati”. Il peso limite della singola missiva è pari a settanta grammi.
Tale possibilità -viene precisato- “può essere utilizzata unicamente nei trenta giorni precedenti la data di svolgimento delle elezioni e dà diritto ad ottenere dall’Amministrazione postale l’inoltro dei plichi ai destinatari con procedure e tempi uguali a quelli in vigore per la distribuzione dei periodici settimanali”.
Nel tempo è stata estesa anche agli altri ricorsi alle urne, ma trovare un documento con i suoi francobolli è sempre stato difficile. Visti i quantitativi, di preferenza vengono impiegate le macchine affrancatrici o altri sistemi, dai timbri e fino alle più recenti formule commerciali, come la posta “target” e la “pro”.
Poste italiane accetta i “santini” contabilizzando tale importo e poi si fa rimborsare dallo Stato. Una procedura che trova puntuale riscontro nel bilancio aziendale, seppure subordinata al numero di consultazioni effettuate nell’anno. Nell’ultimo documento disponibile, riguardante il 2012, si legge che “le integrazioni tariffarie ammontano a 10 milioni di euro (23 milioni di euro nel 2011)”. Proprio i 10 milioni di cui ha parlato il presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, durante la conferenza stampa.