“Io mi trovo sempre bene e così spero di voi, ma fatemi sapere presto notizie. Vi scrivo con queste cartoline che ci passa il governo, che per le lettere non si trovano i francobolli e neanche la carta, perché siamo in mezzo alle macerie e alte montagne e ci vuole un giorno per andare a trovare qualche cosa. Però non si sta tanto male, ci danno da mangiare buono e si fa molto fuoco per scaldarci. Questa notte sono di guardia al comando e ho trovato l’inchiostro per scrivere, ma se no mi tocca a scrivere col lapis”. Così, dalla zona di guerra, si rivolgeva alla famiglia il soldato Giovanni Gaggi; era il 4 febbraio 1916. Testimoniando, perlomeno, la difficoltà nel comunicare.
Un altro, Giuseppe Capacci: “Io, che da cinque giorni che avevo ricevuto lettere da genitori e da Maria, mi misi subito a scrivere alla fidanzata; era quasi sera, mi misi nel mio pagliariccio vicino alla porticina scrivendo nelle ginocchia, mentre al difuori il tempo nevicava. Un soldato che si mise ritto nella porta, e io le chiesi se si levava che non potevo scrivere; lui mi rispose: «Vai fuori!»; io essendo agitato gli dissi quello che si meritava, e lui mi venne con le mani al viso, come se avesse avutomille ragioni. Allora balsai in piedi incominciando la lotta; non vidi più niente: calci e cazzotti come se fosse stato un tedesco! La carta e l’inchiostro andiedero per terra, la penna la ruppi sopra di lui; la lotta luttò poco: me lo sentii strappare dalle mani, due soldati ci scompagnarono, così fu fenita; per quella sera dovetti cessare di scrivere”.
Le testimonianze sono citate, insieme a tante altre, nel volume “Storia intima della Grande guerra - Lettere, diari e memorie dei soldati dal fronte”. L’atto della scrittura -annota l’autore, Quinto Antonelli- “presuppone uno spazio, una postura, un piano d’appoggio, una fonte luminosa. Scrivere è un’«impresa»: si scrive di notte al lume di una candela, si scrive inginocchiati per terra, si scrive su un’asse appoggiata alle ginocchia, dentro un ricovero (caverna o baracca) dove si è continuamente intralciati nei movimenti, spintonati, dove non è possibile raccogliersi e godere di un po’ di intimità”.
È uno degli aspetti toccati dal lavoro, che attinge principalmente dall’archivio della scrittura popolare allestito presso il Museo storico del Trentino, di cui Antonelli è il responsabile. Si tratta -aggiungono dalla casa editrice, Donzelli- “di una ricchissima documentazione (che quasi sempre si sottrae alle norme ortografiche e sintattiche, e per questo può sembrare ingovernabile)”, a lungo esclusa dal racconto nazionale in quanto considerata marginale, se non conflittuale: gli autori sono infatti “tutti” gli italiani, anche quelli che un secolo fa risultavano sudditi dell’Austria-Ungheria: trentini, giuliani, triestini.
Nel volume (336 pagine, 32,00 euro) è incluso il dvd “Scemi di guerra”, il documentario che Enrico Verra ha dedicato ai soldati colpiti da psiconevrosi, chiusi in manicomio e sottoposti a trattamenti spesso crudeli.