“Volk ans Gewehr!”, vale a dire “Alle armi!”. È la mostra, voluta da Media-archive, che riprende il tema della Shoah da un punto di vista esteso, con documenti anche postali e filatelici. È allestita fino al 17 febbraio presso l’istituto statale d’istruzione superiore “Valceresio” di Bisuschio (Varese). Ad ingresso libero, resta aperta tutti i giorni (domenica esclusa) dalle ore 9 alle 13.
Tra l’inverno del 1944 e la primavera del 1945 -viene spiegato dall’autore, Diego Cinquegrana- “si assistette ad un totale e disperato rovesciamento dei «canoni» estetici propri della rappresentazione della «macht» (cioè del potere, ndr) nazionalsocialista. Mentre i neoclassici giganti scultorei, araldi delle conquiste territoriali del III Reich, cadevano in pezzi sotto i colpi d’artiglieria pesante dell’Armata rossa durante la «schlacht um Berlin» (battaglia di Berlino), la «scultura sociale» del «Volkssturm» (la Milizia d’emergenza, composta da ex veterani, giovani e bambini), raccontata da anziani stanchi ed appesantiti dalle armi e dallo sconforto, spostava bruscamente il baricentro iconografico «della forza e dell’onore» (fino a quel momento rappresentato dai silenti e laocoontici guerrieri di marmo di Arno Breker e dai virtuosi spadaccini finemente plasmati nelle ceramiche di Allach) dal piano estetico al piano ideale”. Risolvendo così “la tensione sovrumana alla Vittoria non più in nodose nervature e sguardi accesi dal fragore della lotta, ma nella totale, incondizionata e suicida devozione all’ideale politico nazionalsocialista. Il «Volkssturm» -aggiunge- costituì il crepuscolo della «totaler krieg» (guerra totale), il punto di non ritorno designato dagli effetti epico-distruttivi di una propaganda virale, cresciuta simbioticamente alla società e sviluppatasi proporzionalmente agli obiettivi degli organi di comando e alle loro relative conquiste e disfatte, a dispetto delle perdite e delle vittime”.
È possibile oggi rintracciare le geometrie che rispecchiavano il perfetto e progressivo allineamento militare degli strumenti di comunicazione di massa con le venature capillari dell’ideologia politica e razziale. In tal modo, l’antagonista, politico o ebreo che fosse, era consegnato a scenografie cupe: antri scuri e polverosi, nebbia, fumi mefistofelici. Il binomio luce ed ombra, il diretto rimando alla spazialità aperta/chiusa ed i relativi accostamenti iconografici di bene/male furono una costante del paradigma rappresentativo e della guerra per immagini propagandistica.