“I francobolli non sono sempre emessi per bisogno o per opportunità, molte volte si potrebbe far a meno di un valore alto o di una serie nuova!”. È quanto sosteneva Ermes Iacchia nella “Rivista filatelica d’Italia” un secolo fa, era il gennaio 1918, inserendosi nel dibattito sulle produzioni originate dalla Prima guerra mondiale. Già il titolo è indicativo: “Perché si emettono tanti francobolli”.
“Noi collezionisti siamo spesso gli amici acquirenti di certi valori postali. Eppure si emettono perché ciò torna a grande vantaggio dello Stato. Fra i molti mezzi di accrescere le risorse finanziarie (imposte e tasse - debito pubblico) ve ne sono alcuni tanto modesti quanto importanti. Il francobollo non serve soltanto all’affrancazione delle corrispondenze, esso è pure oggetto di collezione. Doppia quindi sarà la richiesta: da una parte coloro che lo domandano e lo impiegano per l’uso ordinario; dall’altra quelli che lo domandano per l’uso di collezione”.
Gli innumerevoli appassionati sparsi per tutto il mondo -prosegue la testimonianza- “acquistando la nuova serie -completa o solo alcuni valori- verseranno nelle casse dello Stato emittente una considerevole somma di denaro. Oserei dire che la condizione di un Paese si può spesso misurare dalla maggiore o minore velocità con cui si succedono le serie. Così la Turchia è prodiga di centinaia di sovrastampe ed alti valori stampati in due o tre colori, la Bosnia, l’Ungheria e l’Austria di francobolli di guerra che spesso sono veri quadretti artistici, a parte l’effigie più o meno… esosa che ci rappresentano. La serie che appare ora in Francia a beneficio degli orfani è per esempio esclusivamente emessa basandosi sulla vendita” ai filatelisti.
Di qui “la necessità di fare dei francobolli tanti piccoli oggetti d’arte, poiché non essendo possibile raccogliere tutti (nel più ampio senso) i francobolli che giornalmente appaiono, i collezionisti preferiranno quelli che sono più belli” (continua).