Pregiudizi tra il soleggiato sud della Francia e il gelido e plumbeo nord, nel quale persino le temperature diffuse attraverso internet sarebbero sistematicamente alzate per non spaventare la gente. E poi gli abitanti, zotici e tristi, puniti dalla natura, che parlano un dialetto incomprensibile.
Canovacci stereotipati e dicerie che ghiacciano Philippe Abrams (l’umorista franco-algerino Kad Merad), direttore di ufficio postale costretto al trasferimento per punizione. Salvo scoprire che, tra una bacheca con le nuove emissioni in vendita, clienti in fila e consegne attraverso un conciato furgone della Poste, il “diavolo” non è così brutto come lo si dipinge. E, anzi, l’allontanamento da casa giova persino al rapporto con la moglie, a condizione di continuare la farsa.
Si ride e si sorride tra le gag, come quella provocata da Antoine Bailleul (Dany Boon, anche alla regia), ubriaco per amore ma in servizio allo sportello, e dalla signora che vuole affrancare, ma filatelicamente, una lettera pesante 26 grammi. Alla fine, lui appiccica, o tenta di appiccicare, diciassette francobolli sul plico.
La sua recidiva nel bere impone al direttore di seguirlo per la giornaliera consegna in bicicletta della posta, velata citazione al “Giorno di festa” di Jacques Tati, classe 1949. Ma l’esperimento finisce al commissariato di polizia, con entrambi i protagonisti, reduci da un crescendo etilico sviluppato di casa per casa, completamente sbronzi.
In Francia la pellicola ha totalizzato 21 milioni di spettatori e 150 milioni di incasso. Più di “Titanic”.