“Milioni di esseri umani di ogni razza che, cacciati dai loro focolari, in Europa, in Cina, nell’Africa Settentrionale, nel Tibet e nel Medio Oriente, attendono da anni la pace di un focolare domestico, chiedono di ritrovare la dignità di un utile lavoro, una terra in cui regni la libertà”.
Parole che appaiono ancora attuali, ma che risalgono a mezzo secolo fa: furono vergate dalla presidente del comitato d’onore per le manifestazioni, Carla Gronchi, e sono estrapolate dal bollettino illustrativo che accompagnò i due francobolli, nominali da 25 e 60 lire, usciti il 7 aprile 1960. Hanno soggetto identico: Enea che salva il padre Anchise, scena tratta dall’affresco, attribuito a Raffaello e ai suoi agli allievi, l’“Incendio di Borgo”, presente nella stanza omonima in Vaticano. Le cartevalori sono dedicate all’“Anno mondiale del rifugiato”, un’iniziativa alla quale parteciparono numerosi Paesi occidentali, ma non solo.
L’“Anno”, voluto dall’Onu e sviluppato tra il 28 giugno 1959 e l’1 luglio 1960, era destinato a “ravvivare l’interesse dell’opinione pubblica per questo tragico problema ogni giorno più angoscioso”. Ma non tutti condivisero l’approccio: nell’Est d’Europa (e non solo, come dimostrano le interpretazioni che i Paesi arabi scambiarono con Israele) venne letto come un chiaro riferimento polemico. Per questo da oltre la “Cortina di ferro” tali emissioni furono rifiutate, richiamando la normativa Upu che vieta ogni disegno, testo o altro elemento che possa servire a fini di propaganda politica. I francobolli vennero strappati, ricoperti o integrati con timbrature polemiche, e le lettere persino respinte.