“Ti scriverò ogni giorno con la speranza che almeno ogni due o tre giorni qualche cosa ti possa arrivare. Esigo che tu fai altrettanto...”.
È il 27 settembre 1943 quando Corrado Di Pompeo (1910-1957) esprime alla moglie tale proposito. È rimasto a Roma per salvaguardare il posto di lavoro al ministero delle Corporazioni e difendere la propria casa dopo aver portato la famiglia da parenti a Campobasso. Ma l’auspicio di restare in comunicazione non si realizza: la linea di Cassino demarca la separazione dai suoi cari, ed i contatti con la famiglia si interrompono; non trapelano notizie, le lettere che spedisce vengono respinte. Così Corrado, con l’orecchio sempre teso alla radio, si mette a riportare quanto accade in città nei lunghi mesi dell’occupazione.
Adesso la testimonianza originale è all’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano (Arezzo) ed è stata trasformata in libro, sulla cui copertina campeggiano le missive restituite al mittente. Si intitola “Più della fame e più dei bombardamenti” (Il mulino, 160 pagine, 14,50 euro).
Raccoglie -per usare le parole del docente Alessandro Portelli, che ha firmato la prefazione- “lettere impossibili”, perché l’autore sa che non arriveranno, che non potrà neppure spedirle. “Si accumulano a formare l’intreccio che lui descrive fra i due generi più canonici della scrittura personale: lettera e diario. Il potere della scrittura consiste nel fare in modo che le parole possano attraversare lo spazio (lettera) e durare nel tempo (diario); e infatti lo spazio e il tempo sono l’argomento di queste pagine”, che restano “soprattutto lettere d’amore”.
Il 4 giugno 1944 Corrado Di Pompeo può finalmente vergare “Roma è libera!” e, ormai certo di riabbracciare presto coniuge e figli, ne interrompe la stesura.