“Un francobollo per Benvenuti al sud”. Così, qualche giorno fa, ha titolato una nota agenzia di stampa, e la notizia è stata ripresa da altre testate con il medesimo taglio. Anche se nel testo veniva chiaramente spiegato che non si trattava di una carta valore dedicata al film di Claudio Bisio, ma di un semplice annullo (oggi in Italia se ne impiegano oltre duemila l’anno) che indirettamente citava la pellicola. Utilizzato su iniziativa del Comune proprio a Castellabate, il paese campano in cui la storia è ambientata.
“Un piccolo incidente, peraltro non il primo di questo tipo”, spiega il filatelista e giornalista Riccardo Bodo, che ha terminato la sua carriera professionale come vicedirettore dell’Ansa. “Spesso chi sta all’esterno del mondo collezionistico confonde il termine «francobollo» con «bollo» nel senso di timbro annullatore (destinato cioè a rendere inservibile il francobollo), ritenendoli quasi sinonimi...”.
“L’equivoco -prosegue- è ricorrente da molti anni. Se vogliamo, negli ultimi tempi è più frequente da riscontrare. Vuoi per la crescita nel numero dei mezzi di informazione, a cominciare da internet, vuoi perché ormai possiamo considerarci in un’epoca «postfilatelica», nella quale non solo il collezionismo filatelico è meno diffuso ma spesso non si sa bene neppure cosa siano e a cosa servano i francobolli. Basta chiedere ai ragazzi o a molti giovani, che appartengono all’era dell'elettronica e dei telefoni cellulari e non concepiscono neppure più l’idea di una lettera come strumento «fisico» di comunicazione”.
Un altro svarione che inopinatamente ricorre con una qualche frequenza è confondere la filatelia e la numismatica, per cui gli appassionati di francobolli diventano “numismatici”.
Ma “persino nel settore filatelico non è che si scherzi: l’equivoco lessicale è sempre in agguato. Basta dare un’occhiata alle sezioni dedicate alla vendita di francobolli su noti mercati virtuali. Sotto il titolo «interi» compaiono in prevalenza normali lettere e cartoline affrancate o plichi prefilatelici (e non i veri interi postali) e nella sezione «marcofilia» ci finiscono regolarmente le «marche» da bollo! Oppure, nelle descrizioni degli oggetti, si constata la confusione fra annullamenti meccanici e affrancature meccaniche, e non sono che pochi esempi...”.
Un altro frangente, sia pure diverso, è attribuire a Poste italiane l’emissione dei francobolli. Capita che gli stessi dipendenti dell’azienda cadano nella semplificazione. In realtà, i francobolli sono emessi dallo Stato, attraverso quello che oggi è il ministero allo Sviluppo economico. In base al contratto di programma, alla società guidata da Massimo Sarmi spetta pagarne la stampa, distribuirli e venderli.