È nato il 24 aprile del 1942 a Fano, dove è ritornato nel 1974. Ma è a Roma, città in cui ha vissuto nell’arco temporale intermedio, che esercitando l’attività di restauratore in Vaticano ha maturato l’esperienza artistica all’insegna -sono le sue parole- dell’irrequietezza. Come pittore prima, poi come scultore, passando quindi alla grafica e alla scrittura. Ed approdando a manifestazioni come la Biennale di Venezia. Il passo verso installazioni, mail-art e poesia visiva è stato breve e viene compiuto sul finire degli anni Settanta. Collezionando interventi su libri e riviste nazionali ed internazionali, mostre personali ed esposizioni collettive nelle maggiori città italiane e all’estero. Non trascurando i “francobolli d’artista”.
“Ne ho realizzati -riepiloga Marcello Diotallevi in questa intervista a «Vaccari news»- una quindicina, cominciando nel 1984 (prima avevo creato qualche esemplare unico, di cui non ho più la documentazione). Sebbene essi non appartengano alla filatelia ufficiale, morfologicamente le sono vicini: appaiono traforati, la carta è gommata, hanno un valore facciale e qualcosa da celebrare, di serio o faceto. Appartengono ad un genere espressivo (come i libri e le cartoline d’artista) attinente alle arti visive”. E in tale contesto sono stati mostrati più volte: la lista tocca ad esempio le gallerie “Il brandale” di Savona nel 1984, “Caffè Voltaire” di Firenze nel 1985, “Il luogo” di Roma nel 1986, “Milan art center” di Milano nel 1987, palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1988, “Arte fiera” di Bologna nel 1989 e così via.
Filatelista? “Non ho mai collezionato veri francobolli, anche se ho sempre subito il fascino di certi commemorativi, per la loro bellezza e qualità artistica. D’altro canto, i «francobolli d’artista» che nel corso del tempo ho creato non sono a imitazione dei francobolli ufficiali, come anche il «libro d’artista» non vuole imitare i libri scritti, appartenenti alla letteratura”.
Torniamo alle sue produzioni dentellate… “Usate da alcuni colleghi nella corrispondenza, spesso l’hanno fatta franca: provare per credere. In pratica non avrebbero, uso il condizionale, alcun valore di mercato né collezionistico ma, e qui sta il bello, nell’ambito artistico le cose vanno diversamente. Tant’è che fino a qualche anno fa una galleria d’arte di Seattle (Usa) specializzata nel settore me li vendeva a patto che fossero regolarmente firmati dall’autore (come si fa con la grafica, ma senza tiratura)”.
Qualche soggetto? “Il primo, l’esemplare del 1984, si intitola «For peace» ed offre ironicamente una colomba che indossa un elmetto da militare. Un altro è «Mail heart» e risale al 1990. Contiene un cuore composto da un collage di frammenti di francobolli. Il tutto crea un gioco linguistico di omofonia: «mail heart» (cuore di posta) e «mail art» (arte postale) si pronunciano allo stesso modo. L’altro, del 1999, è «Halloween» e celebra la festa omonima del 31 ottobre. Nata nella vecchia Europa, esportata poi in America dove si è ampiamente diffusa e, da qualche anno, adottata con un certo successo anche da noi. Non so se in altri Paesi abbiano dedicato a questa festività laica per eccellenza un francobollo ufficiale. Qui da noi certamente no. C’ho pensato io. L’ultimo che vorrei ricordare è del 2000 e commemora il Giubileo, sempre sul versante laico. La parola «love» messa sul topos dell’amore per eccellenza, cioè il pube femminile, crea una piacevole situazione tautologica. Il tutto incorniciato dall’abusato ribaltamento «Roma - amor»”.