“Potevamo scegliere tra due opzioni: un atteggiamento prudente, attendista, che mantenesse gli assetti esistenti per contrastare il lento e costante declino degli invii postali, erosi sia dalla crisi economica attuale sia da strumenti di comunicazione alternativi tecnologicamente più avanzati, internet prima di tutto, sms, fax; oppure potevamo rilanciare, raccogliere la sfida e voler governare la situazione”. Ed “abbiamo scelto la seconda opzione”.
Così ha esordito il ministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani, davanti alle commissioni parlamentari IX (trasporti) e XIV (Unione Europea) della Camera l’8 febbraio. Stando al resoconto stenografico reso disponibile oggi pomeriggio. Il rappresentante del Governo era stato convocato in audizione per “fornire alcuni elementi di riflessione” sul decreto legislativo riguardante la liberalizzazione postale.
Diversi i dati che ha rivelato. Per esempio, il fatto che il Paese presenti “un livello di domanda che lo pone in posizione di fanalino di coda in Europa: 114 invii pro capite contro i 124 della Spagna, i 263 della Germania, i 318 del Regno Unito, i 420 della Francia e i ben 444” dei Paesi Bassi.
Con il provvedimento sono “pienamente liberalizzate numerose tipologie di prodotti del servizio universale, quali la posta prioritaria, la posta massiva, la corrispondenza a contenuto pubblicitario inferiore a 10.000 invii, le raccomandate della Pubblica amministrazione”. Circa l’80% dei ricavi del mercato, in precedenza riservato a Poste italiane, “diventerà potenzialmente contendibile”. Restano sottoposti a legislazione speciale solo l’emissione dei valori postali e la distribuzione degli atti giudiziari.
L’opzione -introdotta con il contratto di programma 2009-2011, ora all’esame del Cipe- di ridurre il servizio (raccolta e distribuzione della corrispondenza e conseguente riorganizzazione della rete) a cinque giorni viene spiegata con l’esigenza di tagliare i costi del servizio universale “per un totale di risparmi -dice il ministro- pari a 174,5 milioni di euro per l’anno 2011 e di 275 milioni di euro per il 2012”. Al tempo stesso, “viene prospettato un allargamento della missione pubblica assegnata al fornitore del servizio universale, consistente nella prestazione di servizi utili al cittadino, alle imprese e alla Pubblica amministrazione”, accrescendo la protezione del sistema di coesione sociale.
A proposito del contratto, la trattativa con la società “è stata molto dura”. “Come ministero, abbiamo difeso i 14mila uffici postali con i denti, perché nelle intenzioni di Poste italiane c’era la richiesta forte di ridurre moltissimi uffici”, 1.500 dei quali “avrebbero dovuto essere eliminati”.
“Oggi ci sono circa 750 milioni di perdita e l’azienda viene portata in utile con la vendita di prodotti finanziari. Il tentativo è quello di far diminuire il costo del servizio universale e, quindi, il contributo dello Stato, che più o meno risiede nel 50 per cento (e magari arrivasse a zero!)”.
Quanto alla regolamentazione del settore, per Paolo Romani non è possibile istituire un’apposita Autorità o attribuirne le funzioni ad una già esistente per via, fra l’altro, del vincolo che impone l’invarianza della finanza pubblica. Sapendo che occorre trovare una soluzione (anche a causa della procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea il 25 giugno 2009 e motivata, in particolare, dall’assetto proprietario del fornitore del servizio universale), ha sostenuto l’idea dell’Agenzia di origine ministeriale.