In apertura di questo servizio sulla relazione finanziaria 2017 di Poste italiane, si accennava allo scarsissimo uso di parole specifiche attinenti al mondo dei dentelli. Eppure, le pagine del testo sono 528! Fino a qualche tempo fa, ad esempio, una piccola sezione -ora scomparsa- era dedicata alle attività nel campo della filatelia, descritte a tutto campo.
Tra i pochi richiami presenti adesso nel bilancio, quello riferito alle affrancature: si tratta di una tabella, qui riprodotta, che evidenzia come è stato pagato il trasporto della corrispondenza. Su 3.373 milioni di euro incassati, solo 152 giungono dalla vendita delle cartevalori; dodici mesi prima erano, in un ammontare complessivo di 3.584, 190.
Interessante anche quanto è stato speso dal gruppo per farle produrre tramite l’Istituto poligrafico e zecca dello stato: 5 milioni, 1 in meno rispetto all’anno precedente. Questo a pagina 222; curiosamente, un prospetto simile, a pagina 294 e riferito alla sola Poste italiane spa, valuta a 6 milioni gli oneri per entrambi i casi.
Il termine “francobollo”, invece, compare soprattutto quando si fa riferimento alla vertenza tra l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (poi sostenuta dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio) e Globe postal service sull’impiego dello stesso vocabolo (fine).