“Che bel quadretto compongono padre e figlio seduti insieme alla scrivania… I due uomini incollano i francobolli nell’album. È ordinato per argomento: francobolli di sport, di fiori, dello spazio, di animali e purtroppo anche di guerra. Con questo passatempo Ruben cerca di insegnare al figlio l’ordine e la disciplina”. Più avanti: “La lettera è destinata a Ruben anche se non è indirizzata a lui. L’uomo ripiega il foglio con aria pensierosa… Poi la rimette nella busta. E toglie con prudenza il francobollo, per suo figlio. Si infila il francobollo nel taschino della camicia”.
Passaggi per collezionisti nel libro “Altrove, forse” (edizione Feltrinelli, 352 pagine, 17,00 euro). Lo scrisse Amos Oz, morto oggi; era nato il 4 maggio 1939.
La storia è ambientata in Israele, per la precisione nel kibbuz isolato Mezudat Ram. Attorno vi sono solo nemici e montagne; qui si svolge la vita di una comunità dedita all’agricoltura e all’allevamento, allo sport, alla musica, al dibattito, ma soprattutto a purificarsi. A trent’anni dalla fondazione, sono essenzialmente gli ideali di miglioramento personale e collettivo che sostengono i coloni, e il miglioramento si attua anche grazie alle chiacchiere. Perché la vita locale sembra uguale a quella di tanti paesini di provincia: un terzo noia e due terzi pettegolezzi. Certo, ci sono gli avversari senza nome che sparano di notte, ma in verità sembrano molto più corrosivi gli impulsi interni alla collettività, come l’adulterio, le maldicenze e il vandalismo di una gioventù tediata.