“Con lo scoppiare di una guerra subentrano limitazioni e ostacoli, profondamente decisivi, per il traffico postale. La difesa del Paese rende necessaria la sospensione dell’accettazione e spedizione di tutti o di alcune specie d’invii”. Il passaggio è inserito in un intervento non firmato, dal titolo “Traffico postale durante la guerra”, pubblicato nel 1915 dalla “Rivista delle comunicazioni”. L’autore ricorda il possibile blocco per pacchi e lettere assicurati, come per missive con valori, vaglia e persino colli ordinari, “se si presentano avvenimenti straordinari” giustificanti tali misure. Sapendo che “l’odierno servizio postale, affidato per la maggior parte alle ferrovie, subisce sensibili impedimenti e interruzioni” per il loro uso a scopi militari. E senza dimenticare un altro elemento: “il traffico con l’estero è in parte interrotto dalla mancanza di vie adatte al servizio, poiché non è possibile passare attraverso i Paesi nemici”. Pure i rapporti d’oltremare risultano ostacolati, “in quanto che le vie marittime sono minacciate da navi” avversarie. Certo, c’è la regola internazionale, in particolare quella (è nel Trattato XI, riguardante la Conferenza dell’Aja svoltasi nel 1907) che sostiene: “Le spedizioni postali trovate in mare su navi neutrali o nemiche appartenenti ai neutrali o ai belligeranti, sian esse di natura ufficiale o privata, sono inviolabili. Se avviene la cattura della nave, esse debbono essere possibilmente fatte proseguir subito dai catturanti”. Però -è l’osservazione- “non sempre queste norme sono osservate”. Più in generale, “è dovere di una amministrazione postale, che vuol non venir meno ai suoi compiti, di fare ogni sforzo per limitare tutti gli ostacoli e gl’inciampi”. Questo perché “il risultato finale di una guerra moderna non dipende esclusivamente dalla lotta sul campo di battaglia, esso viene grandemente influenzato dalla attività economica”.
Guerra/1 Le conseguenze sul corriere
06 Feb 2016 01:03 - NEWSPAPERS, MAGAZINES AND SITES
Cronache di cento anni fa: le teorie (e le norme internazionali) da una parte, le esigenze pratiche dall’altra