Cos’è il Marocco, ennesimo Paese arabo giunto sulla strada delle proteste di piazza? Stefano Faravelli lo ha sintetizzato in una immagine, dove spiccano, fra l’altro, una stella a sei punte, una mappa di Casablanca ed il francobollo da 5 centesimi di dirham con re Hassan II uscito nell’ottobre del 1968. Immagine diventata copertina del libro “Marocco, romanzo” di Tahar Ben Jelloun (296 pagine, 22,00 euro, Einaudi).
Nato a Fes nel 1944 e residente dal 1971 a Parigi, l’autore di romanzi, racconti, poesie e drammi accompagna il lettore verso l’anima più autentica del Marocco, in un itinerario le cui tappe sono le città e i deserti, i ricordi personali e la storia ufficiale, le leggende della sua terra e le tracce lasciate dagli stranieri che l’hanno attraversata. Si parte da Tangeri (“una città abituata all’abbandono, che produce eroi stanchi”) per poi proseguire verso Casablanca, Fes, Marrakech, fino ai sentieri meno battuti della Chaouia o ad uno sperduto accampamento ai piedi dell’Atlante.
Lo sguardo partecipe e affettuoso di Ben Jelloun non ignora nemmeno le ineguaglianze che ancora feriscono, dalla corruzione a tutte quelle cattive abitudini che “si fanno certezze agli occhi di una popolazione che le accetta rassegnata”. Perché se è vero “che ci sono Paesi che ci incantano e altri che ci maltrattano o che sono una pena per gli occhi e ci danno l’emicrania”, è anche vero che molto dipende dalla disposizione ad accogliere quello che ci viene presentato: “L’anima non si dà, non si concede, non svela niente della sua intimità. È in noi o non è”.