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editor Fabio Bonacina

27236 news from 8/3/2003

I dati risalgono al 2007 e proverebbero che Poste sarebbe stata in grado di individuare alcuni degli incaricati che inviavano le missive per i test

Ma la possibilità di individuare chi invia le lettere civetta, e quindi di vanificare i test della società incaricata, è davvero concreta? Secondo “Il fatto quotidiano”, che sul tema ieri ha dedicato la prima pagina ed altre due all’interno, la risposta è positiva.

“Oltre 10mila mail svelano l’inganno”, vi si legge. “Per assicurarsi i 300 milioni annui che il Governo dà in cambio della puntualità del servizio, l’azienda ha intercettato il sistema di controllo esterno che ne certifica l’efficienza. Per anni il personale della spa ha sorvegliato la corrispondenza e l’ha fatta viaggiare su una «corsia preferenziale» per rispettare gli standard”.

L’argomento non è nuovo, come non è nuova la foto dell’Ansa con i sacchi (che non si usano più) presente all’interno.

Il sistema vigente prevede, in sintesi, che alcune tipologie di invii debbano statisticamente osservare, per la consegna, dei parametri temporali. L’esperienza del cittadino normale (e non solo) è che essi non vengano onorati. C’è una società, la Izi, che da tanto tempo, ora su incarico dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, effettua invii di prova con i plichi ordinari per vedere come va. Sulla base dei dati che presenta, l’Agcom stabilisce se Poste ha mantenuto le tempistiche. Nel caso non lo avesse fatto, e nel passato è avvenuto, scattano le sanzioni. Per gli invii tracciati (una modesta percentuale del corriere massivo e poi raccomandata, assicurata, pacco ordinario), ci si avvale dei valori sottoscritti direttamente dall’operatore.

Il problema, sollevato ora dal giornale, è che parte dei collaboratori Izi sarebbe noto a Poste. Se così fosse, potrebbe garantire alle loro corrispondenze percorsi privilegiati onde “drogare” gli esiti. L’articolo di Antonio Massari (autore di un altro intervento nel gennaio 2014) mira a dimostrare che tale pratica sia stata effettuata. Perlomeno nel 2007, anno di cui avrebbe le prove.

Di certo inesatto è un passaggio, secondo il quale, “a partire dalla certificazione di qualità, il Governo affida a Poste italiane il servizio di posta universale che lo Stato italiano paga, in media, almeno circa (sic!) 300 milioni di euro l’anno”. Il rimborso per garantire il servizio universale (ossia il recapito anche laddove non è economicamente conveniente) è previsto a monte, quindi prima delle verifiche sul rispetto degli accordi. Dal 2015 -lo contempla la legge di stabilità- l’assegno varrà un massimo di 262,4 milioni.

L’apertura del quotidiano, ieri
L’apertura del quotidiano, ieri



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