Nel tempo, quante sono state le insegne adottate dal servizio postale? Per trattare l’argomento occorrerebbe un libro. Intanto, ecco l’Archivio storico di Poste italiane, diretto da Federica Cosenza: ha come obiettivo conservare e studiare il passato dell’azienda. Sul tema, una sintesi sottoscritta da Mauro De Palma è stata pubblicata nell’aprile scorso sul periodico interno, “Lettera P”. Titolo: “Quel che ci insegna il logo”.
“Uno dei primi simboli iconici della posta è uno strumento musicale, il corno” annota. “Perché con il corno il postiglione che trasportava la posta annunciava il proprio arrivo. È il corno che troviamo sui bottoni delle divise dei postiglioni del Ducato di Parma nel 1840 e che ritroviamo di decennio in decennio almeno fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso”. Lo si vede sui fregi che adornano le uniformi dei portalettere ai primi del Novecento, “sormontato dall’emblema della real casa e incastonato nel nome delle Poste italiane di allora «Regie poste»”.
Lo strumento -ripreso in diversi francobolli nazionali, fra cui quelli per i pacchi- rappresenta la continuità fino all’Ente pubblico economico, quantomeno per la sua presenza sui cappelli dei postini. Sulle divise e sui furgoni -prosegue lo specialista- magari cambia il carattere o la cornice, tonda o a rombo, di quel Pt (a significare prima “Poste e telegrafi”, poi “Poste e telecomunicazioni” ma ad un certo punto impiegato per esprimere il motto “Progresso e tradizione”). Certo, scompaiono la corona ed il riferimento regio (talvolta parzialmente visibile ancora oggi sui muri, magari perché il resto della scritta non è più simmetrico), si aggiunge il richiamo alla Repubblica. “Negli anni Sessanta, per un periodo, che a giudicare dalle foto sembra non essere durato molto (1960-1963) si utilizza anche un marchio in cui la testa di un cavallo alato è compresa fra tre lettere Ptt”.
Pure le insegne degli uffici postali e le scritte su cassette e veicoli contribuiscono a rendere riconoscibile il servizio, “anche se non esattamente in modo univoco”. Basta dare un’occhiata a quanto conservato a Roma presso il Museo storico della comunicazione (continua).