“La visualizzazione sul display posto sopra lo sportello dell’ufficio postale rappresenta, allo stato, una misura diversa ed ulteriore rispetto a quella, peraltro già in uso per il personale della società operante a contatto con il pubblico, consistente nell’apposizione del cartellino identificativo, come da contratto collettivo. Gli elementi in esso compresi costituiscono già informazioni sufficienti “a vantaggio dell’utenza e in concreto idonei a garantire la funzione identificativa degli operatori (ad esempio, al fine della predisposizione di un reclamo per il servizio reso)”.
Sono alcuni dei passaggi con i quali il Garante per la protezione dei dati personali ha ordinato a Poste italiane di disattivare il sistema.
Dunque, il nome di battesimo sul display non serve. Ma c’è di più, perché la console di monitoraggio con cui la società gestiva il sistema “consentiva -annota ancora Gpdp- a oltre 12.000 soggetti incaricati -con visibilità differenziata a livello nazionale e periferico- di accedere in tempo reale e in via continuativa, ai dati relativi a tutte le postazioni e a tutti gli operatori in servizio, in qualunque momento, presso un determinato ufficio”. Oltre al nome di battesimo, comparivano ad esempio il numero di clienti serviti, i tempi medi per tipologia di pratica e la durata della singola operazione. Tali valori “potevano essere raccolti e memorizzati, anche sulla base di non ben specificate «anomalie», e potevano essere estratti in report individuali”. Quindi, “il sistema non poteva configurarsi quale mero «strumento di lavoro» indispensabile per rendere la prestazione, potendo consentire, anche indirettamente, il controllo a distanza del lavoratore. Per tale motivo Poste avrebbe dovuto adottare le specifiche garanzie previste dalla legge, tra cui l’apposito accordo da stipulare con i sindacati”.