“Per la prima volta scrivo dalle terre d’Africa…”. “Mi dite che avete mandato dinuovo un pacco…”. “Se ò la fortuna di ritornare a casa faremo un bel pranzo e faremo anche qualche offerta alla Madonna…”. “Noi siamo al centro quasi ucraino, a Carcov, avrei tante cose da scriverti ma ò paura non lascino passare ma stai tranquilla…”. “I primi giorni mi sembravano un po’ duri e invece ora non si pensa più a nulla e non vi è più niente che ci faccia paura…”. “Stalingrado non è ancora caduta, ma come è sulla carta geografica credo che non tarderà più molto a capitolare…”. “Mi raccomando i giornali…”. “Sento che il sussidio non lo prendete più mi sembra una cosa strana, avete dinuovo provato a far domanda come prima?”.
Osservazioni, speranze, richieste: così scrivevano i militari italiani prima dell’8 settembre del 1943. Dall’Africa, dalla Grecia, dalla Russia… Alcune di queste testimonianze sono state raccolte, circa settant’anni dopo, da Nuto Revelli in “L’ultimo fronte” (LXVIII + 356 pagine, 14,00 euro, in questo momento scontato del 25%).
Attraverso la paziente e sempre dolorosa raccolta di interi epistolari e di un gran numero di ultime lettere dei caduti sul fronte russo (da qui il titolo del libro), l’alpino e poi protagonista della Resistenza nel Cuneense ridà voce a quei sommersi della storia “che il silenzio delle fonti ufficiali -dicono dalla casa editrice, Einaudi- si ostina, ovunque e da sempre, a soffocare. E che invece riemergono a dire, vivi e presenti nella loro quotidianità, i problemi e gli interrogativi di una condizione umana”. Diecimila epistole, migliaia di uomini che parlano, che raccontano. Alcuni dicono quasi tutto, disegnano l’arco completo della loro vita militare; altri, con testimonianze frammentarie, restituiscono poche pagine della loro esperienza. Pagine tutte ancora attuali, per testimoniare l’orrore, lo squallore della guerra e la cultura materiale di quei soldati contadini.