Diverse le lettere citate nel libro di Annamaria Andreoli “Più che l’amore. Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio”, firmato Marsilio editori e sviluppato in 384 pagine (19,50 euro).
La vicenda si apre a Venezia, nel 1894; lei ha trentasei anni, lui trentuno. Un incontro fortuito, che segna l’inizio di una storia lunga un decennio, dove l’attrice metterà in scena i lavori dello scrittore. Nasce con questo giuramento il motto araldico della coppia: “More than love”. Lui, infatti, è perentorio: esige “più che l’amore”. Lei lo corrisponde ad oltranza, recitando un trasporto da baccante orgiastica: “Vorrei potermi disfare tutta! Tutto donare di me, e dissolvermi”. Al banco di prova, però, la verità è un’altra, ed occorrerà tempo per capirlo: l’uomo prende atto che il consenso dell’interlocutrice è simulato.
Per rivelarlo ci voleva Annamaria Andreoli, tra il 1997 ed il 2008 presidente della Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” (ha diretto ad esempio l’edizione del carteggio fra i due “Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923”). Nel volume mette in discussione la vulgata, diffusa da oltre un secolo, che dipinge la Duse come sottomessa al “Vate”. Se risultano veri passione, tradimenti ed umiliazioni, sono da ribaltare i ruoli: fu lui la vittima e lei il carnefice. È quanto emerge dai numerosi documenti, sottoposti a nuovo esame con un’avvertenza: a varare la favola dei divi amanti fu Gabriele, maestro nel creare leggende. I cardini risultano la personalità carismatica di una donna ben lontana dai cliché dell’epoca e lo sfolgorio di una società europea in cui il teatro e la cultura italiana erano protagonisti.