“Sono nato il 28 aprile 1968, in… mezzo ai francobolli. Mio padre era commerciante filatelico e la mia stanzetta fungeva anche da magazzino. Diversi ripiani dell’armadio erano stipati di cataloghi, classificatori, scatoloni con dentro ammassi di francobolli che svolazzavano fra un cassetto e l’altro. C’erano mattine che non si riusciva a camminare per casa: il corridoio coperto di fogli di giornale stesi con decine e decine di francobolli asciugati e ormai arricciati…”.
Così si presenta ai lettori di “Vaccari news” Umberto Livadiotti: il 25 giugno, nel contesto della manifestazione “Invito alla storia”, organizzata tra Santa Maria Capua Vetere e Caserta dall’Associazione italiana di public history, ha tenuto l’intervento “La rievocazione dell’Antichità nella produzione filatelica”.
È un appassionato? “Non sono mai stato contagiato dal collezionismo filatelico. Anzi, per decenni ho nutrito un disinteresse totale per questo campo. La mia passione era un’altra. La storia antica. Mi sono laureato con Andrea Giardina, in Storia romana. Più tardi mi sono addottorato, sempre a Roma, con Elio Lo Cascio. Ho pubblicato diversi articoli, una monografia (su alcuni aspetti della comunicazione politica nell’Età tardo repubblicana); ho curato l’edizione di un paio di testi antichi; sono nella redazione dell’«Encyclopaedic dictionary of phoenician culture». Ma all’Università ricopro solo un ruolo marginale: «cultore della materia». Come molti colleghi della mia generazione, sono dunque uno studioso part-time, di quelli che per sopravvivere devono impiegarsi in lavori diversi da quelli per cui hanno affinato la preparazione professionale. Un public historian!”.
Comunque, “conservo e in parte cerco di archiviare del materiale sopravvissuto a mio padre. È materiale selezionato in base a criteri tutti miei, senza alcun rispetto per i criteri classici delle raccolte. Uno degli elementi che suscita la mia curiosità, ad esempio, è la presenza nella vignetta di evocazioni dell’Antichità. E poi mi emozionano tutti quei francobolli che costituiscono in qualche modo una testimonianza diretta dell’evoluzione della storia: le occupazioni, le colonie, le sovrastampe belliche... Alla fine degli anni Novanta, ho lavorato alla Filarte di Carlo Catelani, un buon amico di mio padre. Montavo i francobolli per i cataloghi d’asta. Quindi mi è capitato sotto mano di tutto. Allora avevo imparato a districarmi bene nelle insidiose paludi di filigrana, gomma, colla, carta e dentellatura: ma quando avevo fra le mani una lettera, o meglio ancora una prefilatelica, la mia curiosità era sempre tutta per il contenuto (eccitante, anche quando quotidiano), e mai per l’affrancatura!” (continua).