Per il dipartimento di Giustizia, l’Fbi e l’Us postal inspection service il caso antrace sarebbe chiuso. Proprio quello che, sul finire del 2001, ha ucciso cinque persone, fra cui due portalettere, e colpito altre diciassette, venute a contatto con la letale sostanza infilata in alcune buste affidate al sistema postale insieme a messaggi del tipo “Death to America, Death to Israel, Allah is great”.
Sula scia della forte emozione causata dai dirottamenti aerei dell’11 settembre, la vicenda contribuì a rendere ancora più drammatica la situazione, inducendo gli operatori postali a varare misure eccezionali. La stessa Usps firmava un’ampia azione informativa nei confronti dell’utenza e irradiava le missive sospette prima di inserirle in confezioni plastiche che spiegavano la procedura e gli effetti sui contenuti. In Italia, l’allora amministratore delegato di Poste, Corrado Passera, assicurava che, accanto ad una maggiore attenzione, era stato esteso l’impiego di guanti, mascherine e controlli ai raggi “X”.
La vicenda è sintetizzata in un rapporto da 92 pagine (ma il lavoro generale ne conta 2.700) ed è il frutto della più larga inchiesta riguardante attacchi attraverso armi biologiche nella storia statunitense. La “Amerithrax task force”, che ha coinvolto a tempo pieno tra i venticinque e i trenta investigatori dell’Fbi, dell’Us postal inspection service e di altre agenzie, ha investito nel caso centinaia di migliaia di ore. Le loro investigazioni hanno totalizzato oltre 10mila interviste a testimoni in tutto il pianeta, l’esecuzione di 80 ricerche, il recupero di 6mila oggetti. Senza contare le 5.750 citazioni dell’autorità giudiziaria e la raccolta di 5.730 campioni ambientali da 60 siti.
Secondo gli esperti, i responsabili non furono agenti segreti stranieri, neonazisti o terroristi di Al Qaeda, ma il microbiologo civile dell’Esercito Bruce Ivins, che lavorò da solo nel pianificare ed eseguire le aggressioni. Si è suicidato il 29 luglio 2008, a sessantadue anni.