Un pretesto narrativo, neanche poi troppo fantasioso: ricercatori di oggi trovano, sotterrato, un sacco di posta all’isola di Iwo Jima. Proprio quella teatro della famosa battaglia durante la Seconda guerra mondiale, ricordata già l’11 luglio 1945 dal francobollo statunitense per i marine.
Venne fatto nascondere, poco prima della sua morte, dal generale giapponese Tadamichi Kuribayashi che nella pellicola, intitolata “Lettere da Iwo Jima”, è impersonato da Ken Watanabe.
Gli scritti ripercorrono le vicende che precedono e chiudono lo scontro sviluppatosi tra 16 febbraio e 23 marzo 1945. Il lungo flashback firmato da Clint Eastwood ricostruisce gli sforzi nipponici di mantenere la difesa dell’area, nonostante la soverchiante potenza nemica, fino all’annientamento finale di quasi l’intera guarnigione, composta da 21mila uomini.
Al di là dei fatti di guerra, il film permette di scoprire che anche l’“altro”, sottoposto, superiore o addirittura nemico, è uguale a noi. Persino nelle frasi affidate in una missiva dai familiari al militare o da questi spedita –magari consapevole che non la riceverà mai- a chi è restato a casa. Nonostante le mostrine o le divise diverse, dietro c’è l’uomo, costretto dall’educazione e dagli eventi ad immolarsi. “Fa’ quello che ritieni giusto, perché è giusto”: così dice la madre di un soldato americano al figlio, poi catturato. E così dice l’ufficiale asiatico ai suoi subalterni.
“Lettere da Iwo Jima” è in lingua originale, con sottotitoli in italiano.
Di Clint Eastwood è anche “Flags of our fathers”: legge la stessa vicenda, però vista da Washington.