Tra le cose che -dopo sei secoli- rimangono ancora del “mercante di Prato” (così definito, ad esempio nel libro di Iris Origo) vi sono i suoi famosi documenti (soprattutto epistolari), conservati all’Archivio di stato cittadino, e la sua casa, che ora accoglie la stessa struttura ministeriale nonché, fra l’altro, l’Istituto di studi storici postali onlus.
Vi è anche la lastra tombale, posizionata in segno di riconoscenza nella navata centrale della chiesa di san Francesco, nella piazza omonima. Di essa ha scritto Marco Ferri in “Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere”.
La pietra oggi è poco visibile, consumata da secoli di calpestii. Lo studioso, tuttavia, ha scovato e pubblicato un disegno dell’Adescato (Anton Francesco Gori), accompagnato dalle parole del Tarpato (Andrea da Verazzano) che ne descrivono i particolari come si presentavano nel 1738. I tratti del viso, ad esempio, ora non si notano più, “mentre nel disegno sono ben visibili, così come i panneggi del lucco -soprattutto nella parte inferiore- appaiono molto più piatti nel bassorilievo”. Pure il tipo di calzatura è scarsamente visibile.
La tomba vera e propria è stata individuata nel 1978 in occasione di alcuni lavori; è collocata in concomitanza della lastra, quest’ultima restaurata -per quello che si è potuto- nel 1995.