Da Torino -dopo circa sessant’anni dacché fu istituita- “l’Officina cartevalori verrà prossimamente trasferita a Roma”. Così annunciava, nel numero del 31 ottobre 1924, “Il bollettino filatelico”.
“Questa recente deliberazione ministeriale crediamo non abbia commosso né preoccupato il gran pubblico italiano; ma non può dirsi lo stesso del nostro piccolo mondo filatelico che, partendo da differenti punti di vista, ha subito pensato alle possibili conseguenze”. Nella nota, esse vengono spiegate più avanti: “chissà quanti fogli di svariati errori e varietà abbiano a venir fuori”.
Alcuni osservatori, però, la pensavano diversamente: “sdegnano questa manna provvidenziale” e “si augurano che d’ora innanzi, essendo l’Officina sotto la più diretta sorveglianza ministeriale, si abbia una produzione più accurata, che di veri errori se ne abbiano a verificare ben di rado e che, eventualmente, non servano ad impinguare gli accaparratori, sempre vigili e bene informati, ma seguano le vie ordinarie di tutti i francobolli venduti al pubblico”.
Se cambiò la città, le macchine rimasero quelle, scrisse il 6 gennaio 1979 l’allora presidente dell’Istituto poligrafico e zecca dello stato, Rosario Lanza. Doveva introdurre, per il rituale bollettino illustrativo, i due tagli da 170 e 220 lire, lanciati per il mezzo secolo trascorso dalle prime emissioni realizzate all’interno del futuro Ipzs. C’erano ancora “macchine tipografiche non sostanzialmente dissimili da quelle che il Sella (il ministro Quintino Sella, ndr) aveva importato da Londra” ed erano giunte nel 1866. “La loro tecnologia era ormai arretrata e ciò comportava conseguenze negative sia sul piano artistico che su quello economico”, stante la lentezza di produzione e la forte percentuale di scarto.
Il salto di qualità avvenne con il passaggio ad apparecchiature che, in luogo del procedimento tipografico in piano, introdussero la fotocalcografia su rotativa. Il risultato venne registrato solo il 4 gennaio 1929, con il 50+10 centesimi per il mezzo secolo trascorso dalla morte di Vittorio Emanuele II, che al tempo stesso raccoglieva fondi a favore dei veterani di guerra.