Il ministero dell’Economia e delle finanze, sia pure per due strade diverse (cessione a Cdp per almeno il 35% delle quote e vendita della restante parte, pari al 29,7%), uscirà da Poste italiane. Ieri l’intenzione è stata suggellata con il decreto sottoscritto dal presidente del Consiglio dei ministri. E i sindacati? Per ora, solo tre si sono espressi, e tutti negativamente.
“Si avvia un’altra fase di privatizzazione”, commenta dalla Slc-Cgil il segretario generale Massimo Cestaro. “Le ragioni sono sempre le stesse: vendere i «gioielli di famiglia» per fare cassa senza alcuna idea di futuro, senza linee chiare di politica industriale e lasciando in eredità solo debiti”. “Il danno per le casse dello Stato, in tema di mancati dividendi, sono già preventivabili. Nel contempo non vi è traccia delle azioni previste dal piano industriale legate allo sviluppo, il che prefigura foschi scenari: operazioni esclusivamente finanziarie, necessarie a soddisfare le troppe promesse del presidente Renzi; impoverimento della più grande azienda italiana di reti e servizi; nessuna prospettiva di sviluppo della logistica; nessuna prospettiva di innovazione dei servizi offerti”.
“Consideriamo scelta sbagliata il via libera del Consiglio dei ministri al collocamento in Borsa della seconda tranche”, aggiunge dalla Cisl il segretario confederale Maurizio Bernava. “È un grave errore ed un danno per il Paese, un momento di chiusura e di non ascolto agli inviti ed alle preoccupazioni sollevate da più parti ed alle diverse mobilitazioni messe in atto dai lavoratori postali. Siamo infatti di fronte alla più grande azienda pubblica di servizi del Paese, di considerevoli potenzialità e prospettive nei vari mercati. Ecco perché non condividiamo che il Governo si privi di gestire i servizi di una azienda che potrebbe garantire migliori benefici all’utenza ed una significativa redditività come azienda pubblica. Per altro questa decisione rischia di inasprire il conflitto e la mobilitazione sindacale nel settore dove i lavoratori e gli utenti pagano l’inconcepibile abbandono di servizi strategici e dalla grande valenza sociale”.
La decisione del Mef -commentano da Uil poste- “impone un’urgente riflessione. La modifica degli assetti societari, proprio nel momento di apertura della trattativa del contratto collettivo nazionale di lavoro, ha preoccupanti conseguenze: come muteranno gli interlocutori aziendali? quali ripercussioni sul piano industriale? l’azienda rimarrà unica ed unita? Questi e ulteriori interrogativi pesano come macigni sull’intera dinamica di rinnovo contrattuale e riorganizzazione aziendale”. Ecco perché la rappresentanza “chiede urgenti chiarimenti su questi temi”.