Il 2 febbraio 1854, Giuseppe Verdi, di cui oggi si ricorda il bicentenario dalla nascita, era già famoso. Al suo pubblico aveva regalato opere quali “Nabucco”, “I lombardi alla prima crociata”, “Ernani”, “Macbeth”. E poi, “Rigoletto”, “Il trovatore”, “La traviata”…
Non a caso, Tito Ricordi, che al tempo dirigeva l’azienda di famiglia specializzata nel settore, gli si rivolse definendolo “celebre compositore di musica”. La traccia è riscontrabile su una raccomandata spedita da Milano, ancora Lombardo-Veneto (parzialmente coperto dalla ceralacca, ecco un francobollo imperialregio da 30 centesimi), e diretta via Chiasso a Parigi, dove il maestro si trovava.
La missiva è su carta intestata della ditta, ma il tono è colloquiale. Tanto che il mittente si rivolge al destinatario con un “amico carissimo” e gli dà del “tu”. Si tratta -come le definisce- di appena due righe, promettendogliene, per controbilanciare la stringatezza, altre cento o duecento “domani o dopo”. L’obiettivo del momento è inviargli 5mila franchi, probabile saldo per qualche prestazione, ma anche ringraziarlo per le “belle caffettiere” inviategli e costate altri 76.
“Sai tu -aggiunge- che io sono innamorato delle tue ultime lettere che riguardano l’arte tua, e che mi svelano una parte del tuo generoso e sublime sentire!”.