“Era il 1956, avevo finito di costruire la casa di via del Pilastro e con la pratica e coi contatti, specie con uffici, avevo constatato come l’America avesse introdotto in Italia, dopo la sua vittoria che ci aveva distrutti, la schiavitù. Non potevi fare nulla che i politici non volessero, e questa schiavitù ogni giorno di più ti soffocava. I preti, con le loro assurde teorie e le loro sette, ti inchiodavano e volevano che tu non facessi nulla che a loro non garbasse; i comunisti cercavano di combattere i signori e di portargli via con la terra anche la loro ragione di esistere; solo i politici, asserviti ai russi o agli americani, avevano un futuro. A quel punto, dopo tutti i morti ammazzati in Italia nel dopoguerra, io, che sono e sono sempre stato libero, pensai che l’unica prospettiva era di andare in un Paese indipendente dove gli intelligenti potessero comandare e gli idioti servire”.
È da tale contesto che nasce l’avventura dell’isola delle Rose, nuovo “Stato” ottenuto costruendo una piattaforma davanti a Rimini ma fuori dalle acque territoriali, che verrà completata otto anni dopo. Fino a quando, il 25 giugno 1968, iniziò l’“occupazione” da parte dell’Italia ed una complessa controversia legale, finita con due vani tentativi per distruggere la struttura e poi, il 26 febbraio successivo, con l’inabissamento di quanto rimaneva e del sogno.
A raccontare la vicenda è il protagonista di allora, Giorgio Rosa. Sua è la testimonianza organizzata in un testo di 22 pagine accompagnato da un dvd, consegnati al Gruppo Persiani editore che ha messo in vendita l’insieme a 14,90 euro.
“Mi piace rammentare -si legge nel testo- che per un breve periodo fu istituito un servizio postale con l’isola, furono emessi francobolli, e come bandiera ufficiale fu scelto un triangolo arancione con al centro tre rose rosse”.