È quasi una proposta provocatoria, quella sottoscritta dal noto collezionista Enrico Bertazzoli. Infastidito per un invio raccomandato spedito il 2 maggio dagli Stati Uniti e ancora fermo -chissà perché- in Lettonia.
“Sarebbe interessante -annota con «Vaccari news»- conoscere il motivo del percorso un po’ strano, ma suppongo che si tratti di strade più convenienti per Usps quando trasporta del corriere verso l’Europa. Comunque sia, l’operatore -molto probabilmente per l’allarme coronavirus- ha bloccato il plico un mesetto e poi l’ha mandato a Riga, dov’è arrivato il 31 maggio. E lì è rimasto! L’unica cosa per così dire «positiva» è che rispondono ai messaggi, cosa per noi paragonabile alla fantascienza”.
Risultano quattro sue comunicazioni, del 15, 18 e 24 giugno, nonché del 10 luglio e le relative risposte alquanto contradditorie, almeno la prima rispetto alle altre due (è ancora in attesa della quarta). “Sono convinto che il covid sia una scusa bella e buona, perché in Lettonia il contagio quasi non ha messo piede. La verità è legata probabilmente a un fatto speculativo: accumulare tanta posta e fare un’unica spedizione aerea costa di certo molto meno che compiere tanti invii con quantità modeste. Così, la pandemia diventa una scusa provvidenziale: insomma, tutto il mondo è paese…”.
Di fatto, rispetto agli invii per così dire analogici dei secoli scorsi e caratterizzati magari da tante bollature una sull’altra, è facile capire il percorso: basta interrogare il computer e leggere il responso. Forse, tuttavia, è più complesso comprenderne le ragioni…