“In mostra ci sono delle lettere scritte a mano e stampate da pc, qualche fax e scambi e-mail (1999) perché testimonianza di uno «stare insieme» che si protraeva anche all’indomani degli incontri «de visu» per tenersi in contatto e progettare il prossimo evento”. Così precisa la curatrice Serena Carbone, riferendosi alla mostra “No, Oreste, No! Diari da un archivio impossibile”, accolta al Museo d’arte moderna di Bologna fino al 5 maggio.
È un allestimento -aggiungono dalla sede- incentrato sull’esperienza artistico-relazionale di “Progetto Oreste”, nata nel 1997 e conclusasi nel 2001, con particolare attenzione alle vicende della città felsinea. Non era un collettivo, non era un sindacato ma, come spesso hanno ribadito i suoi ideatori, rappresentava “un insieme variabile di persone”, di artisti che si sono scelti e trovati per un determinato tempo così da condividere una certa maniera di vedere il mondo. Ha agito da precursore, ha sperimentato e anticipato un modo di operare indipendente, alternativo a quello istituzionale, totalmente orizzontale e non gerarchico, ponendo l’accento sul processo e anticipando tendenze oggi date per scontate, come la ricerca in spazi non profit e le residenze d’artista.
Nel contesto, la rassegna ha come fulcro ciò che resta oggi di tale capitolo: i protagonisti con le loro vite e le loro ricerche, l’archivio composto da materiale audio-video e cartaceo, la documentazione sulle pagine ancora navigabili di Undo.net, la vitalità che ne animava gli incontri e i dialoghi. I visitatori trovano anche video, installazioni, testi, fotografie, libri, cataloghi, riviste, locandine…
Tornando alle corrispondenze -conclude la curatrice- “sono spesso il racconto o un pensiero su quella che era stata l’esperienza in residenza a Paliano, il luogo in cui nasce «Oreste», anche perché le prime pubblicazioni («Oreste 0», «Oreste 1» e «Charta») hanno una parte «Diario», con le parole degli stessi artisti, che precedentemente erano state appunto inviate per posta proprio per essere pubblicate”.