Sicurezza sì, ma le prove si facciano su qualcun altro. È questa la sostanza di una lettera inviata dal segretario generale del Sindacato lavoratori comunicazione (Cgil), Emilio Miceli, al responsabile risorse umane centrale Claudio Picucci e al responsabile relazioni industriali Paolo Faieta di Poste italiane. L’argomento è il casco protettivo elettronico, che la società ha deciso di sperimentare ed eventualmente adottare per tutti i postini che si muovono in moto. “Prima di dare il via all’utilizzo di apparecchiature i cui effetti sulla salute non sono ancora del tutto chiari”, è necessario -scrive dalla Slc-Cgil- “che siano dei medici a certificare l’assenza di qualsiasi effetto nocivo nei confronti di chi lo indossa. Il fatto stesso che si parli di «sperimentazione», presuppone infatti che non ci sia una conoscenza approfondita sullo strumento”. I portalettere “non possono essere considerati delle «cavie», perché di questo parliamo dal momento che la società che dovrà occuparsi dell’allestimento dei caschi, la Mri, «avvierà in parallelo il processo di omologazione che porterà alla emissione di apposito certificato per installazione di ricevitore»” sul “Liberty 125” impiegato da Poste italiane. “Qual è dunque il vero obiettivo? Salvaguardare la salute dei lavoratori o far certificare da Poste italiane che si tratta di un buon prodotto?”. Riteniamo -prosegue la missiva- “che questo «casco elettronico» nasconda in realtà un sistema di controllo a distanza dei lavoratori, vietato dallo Statuto dei lavoratori, se non regolato da accordo sindacale”.
Portalettere, non cavie
12 Dic 2011 00:23 - NEWS FROM ITALY
La Slc-Cgil protesta contro la sperimentazione del casco protettivo elettronico