Un conflitto poco noto in Italia, tuttavia dagli esiti disastrosi, sia in fatto di vittime che di conseguenze sociali e politiche (fra cui, le tensioni che avrebbero portato, più avanti, alla Rivoluzione d’ottobre sovietica). È la Guerra russo giapponese del 1904-1905, che dà il titolo al libro di Alberto Caminiti, edito da Fratelli Frilli editori (180 pagine, 9,80 euro).
Guerra che rappresentò il crinale tra passato e Novecento, dove hanno convissuto l’ultimo assedio statico di una piazzaforte (Port Arthur) e la prima grande battaglia navale (Tsushima), “in cui telecomunicazioni e tiro centralizzato delle artiglierie di bordo furono la carta vincente”.
L’autore è stato dirigente dell’allora ministero alle Poste e telecomunicazioni e, da collezionista, ha in mente le cartevalori che, in un modo o nell’altro, ricordano i fatti. Firmate soprattutto dal Giappone, il quale, uscito vincente dal conflitto, ha celebrato i suoi uomini, in particolare il generale Kiten Maresuke Nogi e l’ammiraglio Heihachiro Togo, con alcune produzioni dentellate. Diverso è l’atteggiamento russo: il compito di rivalutare ufficiali boicottati o semplicemente sfortunati (come l’ammiraglio Stepan Makarov Ossipovic) è stato preso in carico dall’Urss.
L’approccio non è solo tematico. Si accenna alla posta come sistema informativo (gli zaristi in navigazione verso Oriente aggiornati sui fatti grazie alle lettere e ai giornali inglesi acquistati a Città del Capo) e, soprattutto, al ruolo svolto dalle telecomunicazioni, allora certo primordiali, ma già importanti. A difesa di Port Arthur c’è anche la collina del Telegrafo e si opera con nuovi apparati (specie i radiotelegrafi del tipo “Marconi”) che, durante la battaglia navale del 27-28 maggio 1905, assunsero “un’importanza decisiva”.