Non solo i ragazzi, con la mostra “Pietra intonaci e graffiti”, aperta sino al 9 gennaio. Anche un editore, di recente, si è interessato alle Poste centrali di Trento. È Curcu & Genovese, che ha realizzato “Palazzo a Prato” (108 pagine, 15,00 euro), scritto dallo specialista Roberto Bombarda. Secondo il quale, l’edificio ha… vissuto quattro volte.
Inserito nel muro del complesso c’è un portale che risale al Cinquecento; insieme a qualche altro reperto, ricorda il tempo del Concilio di Trento, quando l’immobile accolse i legati pontifici. Ecco, allora, la vicenda del palazzo “a Prato”, commissionato dall’omonima famiglia che si era progressivamente affermata fra la nobiltà cittadina, contribuendo allo sviluppo locale sia con attività commerciali ed estrattive, sia attraverso donazioni benefiche. Si trova in via Calepina, nel quartiere Borgo Nuovo alle spalle del Duomo, dove sarebbero state ubicate varie residenze di alto lignaggio.
Nel 1830, dopo diverse vicende, compresa la proposta di farne la nuova sede vescovile, ospitò uno zuccherificio; diede lavoro a molti, ma comportò disagio alla zona per i cattivi odori che emanava. Nel dicembre 1845, un furioso incendio ne distrusse gran parte. Sull’area, lungo il 1884, venne deliberata la costruzione dello stabile per le Poste austroungariche, e l’incarico fu demandato a Friedrich Setz, l’architetto che firmò, fra le tante, l’analoga struttura di Trieste. In epoca italiana vi rimise mano il collega ed ingegnere Angiolo Mazzoni, coinvolto per dare impulso all’economia stagnante e cancellare i simboli del passato, aggiungendo quelli al momento in voga: d’altro canto, era il 1934. E poi, c’è la voce (secondo l’autore, leggenda senza fondamento) che assicurerebbe uno scambio erroneo di progetti: sarebbe stato impiegato quello previsto per Tripoli…