Un vero e proprio “banco di prova”. Così, il 4 dicembre 1963, il neo direttore generale dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, Aurelio Ponsiglione, definiva il periodo natalizio. Anche perché -scriveva allora in una circolare interna- “negli ultimi tempi l’opinione pubblica e la stampa hanno messo in evidenza la necessità di una ripresa di quella puntualità e celerità che erano tradizione”.
Fra le disposizioni che adottò per il periodo compreso dal 10 dello stesso mese al 5 gennaio, la richiesta di un ispettore, presente di giorno e di notte, presso i più importanti uffici movimento e telegrafici dei capoluoghi. L’obiettivo era “risolvere sia pure nel quadro delle vigenti disposizioni, ma con assoluto spirito di iniziativa, tutti i problemi concreti che si presenteranno negli uffici esecutivi in conseguenza del maggior traffico”.
Precise richieste anche per i direttori provinciali, che avrebbero dovuto “ridurre al minimo la loro attività burocratica”, allo scopo di effettuare continue visite, e qualcuna pure nelle ore notturne, presso le sedi impegnate. La presenza del massimo responsabile consentirà “la percezione esatta delle reali esigenze, mantenendo vivo e operante il contatto tra dirigente ed operatori”.
Contemporaneamente, nelle città maggiori vennero introdotte cassette riservate alle sole impostazioni augurali, così da agevolare la selezione. Dati di quel periodo parlano di un miliardo di invii, tra biglietti e cartoncini, scambiati sotto le feste.
Sempre il 4 dicembre, Carlo Russo fu confermato ancora una volta a ministro delle Poste e telecomunicazioni: nominato nel novembre del 1962 sotto il IV Governo di Amintore Fanfani, lo rimase con Giovanni Leone ed ora pure con Aldo Moro. Tre presidenti del Consiglio in tredici mesi… Quali sottosegretari, la scelta cadde su Remo Gaspari (a sua volta convalidato) e Luigi Angrisani.
Qualche giorno prima, il medesimo Russo preannunciò i dati finanziari: l’Amministrazione avrebbe chiuso il bilancio dell’anno in corso sottoscrivendo un deficit di quasi 20 miliardi di lire (il disavanzo globale era però di 7 miliardi, poiché la collegata Azienda di stato dei servizi telefonici contava su un +12). Tra i problemi da affrontare, lo sviluppo delle case per i dipendenti: dei 13mila immobili utilizzati, un decimo era di proprietà di terzi, implicante 3 miliardi di spesa.