Il settore dei servizi postali? “Non ha sostanzialmente raggiunto un grado di apertura alla concorrenza sufficiente”. È quanto sostiene l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sua relazione annuale. Se le norme hanno definito la cornice in cui muoversi, “mancano gli effettivi interventi strutturali in grado di creare reali contesti competitivi”.
In questo scenario, l’Agcm, valutando positivamente il progetto di cessione di una parte del capitale di Poste italiane e la sua quotazione, ha auspicato che “tale processo possa condurre a un’effettiva apertura del mercato e a una piena liberalizzazione”. Una svolta conseguibile mediante “un radicale intervento anche sull’assetto dell’ex monopolista, così da evitare l’eventuale cristallizzazione delle problematiche concorrenziali esistenti”.
Bisognerebbe intervenire sia ridefinendo il perimetro del servizio universale e le modalità del suo affidamento, sia individuando le aree di attività riservate a Poste che, invece, potrebbero essere aperte agli altri operatori. Non basta. L’analisi della struttura presieduta da Giovanni Pitruzzella aggiunge che occorrerebbe eliminare le forme implicite di sussidio, al tempo stesso separando le attività svolte su mercati diversi, soprattutto del comparto bancario, da quelli riferiti all’ambito postale tradizionale.
A complicare le cose, secondo l’Antitrust, è la legge di stabilità 2015, che ha allungato la validità del contratto di programma a cinque anni. Inoltre, ha previsto la possibilità che, su suggerimento dell’azienda, le tariffe vengano rimodulate in funzione dei volumi di traffico, “una norma potenzialmente problematica in termini di andamento dei prezzi e di incentivo a una maggiore competitività”. Infine, ha introdotto il vincolo del reinvestimento dell’attività di raccolta del Bancoposta in misura pari al 50% (in precedenza era limitata al 5%) in titoli assistiti dalla garanzia dello Stato, “alterando le capacità competitive del soggetto interessato e le dinamiche di mercato”.