Rapidissima la risposta della Direzione generale archivi che fa capo al ministero della Cultura. È la circolare di ieri, destinata alle Soprintendenze, con oggetto “Vigilanza sul commercio di materiale di interesse filatelico”. Replica alla segnalata iniziativa, registrata a Milano, circa l’avvio di un procedimento per la dichiarazione di interesse culturale riguardante una collezione.
Firmata dal direttore generale Antonio Tarasco, la nuova comunicazione cita documenti già vigenti e noti, fra cui la circolare 69 del 4 settembre 1986, emanata dall’Ufficio centrale per i beni archivistici, all’epoca competente per la materia, e confermata successivamente con la circolare, della sua Direzione, 43 del 5 ottobre 2017. Cui va aggiunta la lettera del 16 giugno 2020 protocollata con il numero 10.845.
Rispetto al passato, nulla cambia, tanto è vero che il mittente si limita a ribadire. “Ribadire che i singoli valori filatelici e le loro raccolte non costituiscono, «ex se», beni culturali”. Essi possono presentarsi: 1) staccati dai rispettivi supporti e non più ad essi riconducibili; 2) aderenti a buste o altri involucri privi del contenuto originario; 3) applicati direttamente su un documento o su buste o altri involucri contenenti documenti.
La citata circolare 69 del 4 settembre 1986, “da cui -è la sottolineatura- non c’è motivo di discostarsi, chiarisce che nei primi due casi il materiale filatelico (rappresentato sia da pezzi singoli che da collezioni) non appare riconducibile alla categoria di «documento» in senso stretto e non ricade quindi nella competenza istituzionale di questa Amministrazione”.
Lo stesso testo aggiunge che “solo nella terza ipotesi può configurarsi una fattispecie riconducibile alla legislazione archivistica”; pertanto, solo in tale, residuale, ambito “è astrattamente configurabile la competenza di codeste Soprintendenze a valutare l’interesse archivistico sopra i documenti di natura pubblica o privata, e giammai i soli valori filatelici”.