Certo, il saggio, edito dalla società Vaccari, “Caproni nella Prima guerra mondiale” c’è ed è in vendita nella libreria collegata. Non poteva essere altrimenti, visto che si sta parlando del Museo dell’aeronautica “Gianni Caproni” di Trento.
Si trova in via Lidorno 3, nello stesso stabile che ospita l’aeroporto cittadino, anche questo intitolato all’ingegnere considerato tra i pionieri dell’aviazione italiana. Non a caso è stato citato in uno dei francobolli da 52 centesimi emessi sull’argomento il 12 settembre 2003, ma pure altri esemplari -fra cui il soggetto di posta aerea nato l’1 ottobre 1945- riprendono più o meno fedelmente uno dei velivoli nati dall’azienda di famiglia.
L’allestimento cerca di spiegare, attraverso gli oggetti, la storia del settore con un particolare riferimento all’Italia e alla ditta. Tra velivoli, modelli, fotografie, libri, medaglie, cartoline, diplomi e persino la ricostruzione dell’ufficio che fu del protagonista, non mancano i richiami postali. Dall’aerogramma italiano da 800 lire del 30 novembre 1991 per il mezzo secolo del volo a reazione nazionale agli annulli impiegati il 15 ed il 17 giugno 1972 a Pantelleria (Trapani) e Bologna per, rispettivamente, i trent’anni passati dalla battaglia omonima ed il terzo raduno degli aerosiluranti. Presente anche qualche reperto straniero, come la busta primo giorno del 2 ottobre 1980 di Gibuti riguardante l’ottantesimo del primo volo Zeppellin. Nonché la copia di una lettera autografa di Gabriele D’Annunzio, diretta al collega Harukichi Shimoi e inerente l’idea del “Raid Roma-Tokyo”.
“Sin dai suoi primi anni di attività -viene spiegato- Caproni decise l’accantonamento, all’interno delle officine di Vizzola e Taliedo, di alcuni fra i suoi aerei più importanti, anziché procedere alla loro dismissione e al riutilizzo dei materiali”. Nel 1927, grazie alla moglie Timina Guasti, questa scelta maturò nella fondazione del Museo: “il più antico esempio di museo aziendale nazionale e al tempo stesso la più antica istituzione aeronautica al mondo”. Fu proprio la consorte che cominciò a raccogliere documenti, volumi, immagini, cimeli. Con la chiusura delle attività produttive, i materiali venero portati nella città del Concilio per un nuovo allestimento, concordato con la Provincia autonoma ed aperto al pubblico dal 3 ottobre 1992. Oggi la collezione è considerata patrimonio pubblico inalienabile.