Mentre il ministro dell’Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, spinge per arrivare a cedere le azioni in quota Mef e far quadrare i conti, per quel che riguarda Poste continuano le levate di scudi ad ulteriori vendite in Borsa. Fra cui quella -significativa- del collega di Governo alla partita, il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli.
In un’intervista rilasciata l’altro giorno a Valentina Conte di “Repubblica” ha detto, fra l’altro: “Le mie obiezioni sono note, già ai tempi del primo pacchetto. Ma ora siamo di fronte a uno scenario impegnativo: privatizzare un altro 30% entro l’anno. È giusto richiamare l’attenzione su rischi e implicazioni”. “Pongo la questione al Pd, il mio partito, in termini politici. E offro queste osservazioni anche a maggioranza, Parlamento e Palazzo Chigi”. “È chiaro sin da ora che le importanti quote collocate andranno nei portafogli di fondi internazionali e grandi investitori stranieri, certo focalizzati solo su rendimenti garantiti. E pronti a sacrificare gli ambiti in perdita: recapito, sportelli, personale. Con un impatto forte sul ruolo di Poste e del suo servizio”.
A ruota si è espresso il presidente dell’Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna, Enrico Borghi. È al vertice anche dell’Unione nazionale comuni comunità enti montani, sodalizio dimostratosi meno possibilista dell’Associazione nazionale comuni italiani. “Avviare una seconda tranche di vendita ai privati di Poste italiane, facendo scendere lo Stato sotto il 50%, è un errore strategico che apre la porta ad un’ulteriore desertificazione del servizio postale nelle aree interne e montane”, ha precisato. “Stiamo già sperimentando le conseguenze della prima privatizzazione: disagio sui territori per la consegna a giorni alterni, riduzione degli sportelli, comuni montani in rivolta. Se la logica continua ad essere quella di fare cassa sulle spalle dei cittadini delle aree più deboli, non possiamo starci”.