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editor Fabio Bonacina


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La mostra è ospitata, fino al 7 giugno, presso la villa Reale di Monza. Dove l’artista espose per la Biennale internazionale di arti decorative

Dopo -un anno fa- Firenze, è toccato a Monza. Presso villa Reale, ancora fino al 7 giugno, sarà possibile vedere la mostra “Gio Ponti e la Richard-Ginori: una corrispondenza inedita”. Curata da Livia Frescobaldi Malenchini ed Oliva Rucellai, presenta una cinquantina opere, tra le meno note, provenienti dalla collezione di ceramiche del Museo di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze) ed una selezione di lettere, per la maggior parte inedite, appartenenti all’archivio della Manifattura omonima, con schizzi, disegni e indicazioni di fabbrica.

Particolare rilievo è dato alla relazione dell’architetto e designer, e della Richard-Ginori, con la città ospite: il 19 maggio 1923 è la data in cui Ponti (1891-1979) espone per la prima volta a villa Reale, dal 1923 al 1930 sede della Biennale internazionale di arti decorative (che diventerà l’attuale Triennale). La collaborazione con la Richard-Ginori è di fatto l’esordio ed il primo grande successo della sua carriera, che lo vede coinvolto non in veste di architetto, ma di direttore artistico. Nel carteggio si parla continuamente di Monza; i relativi appuntamenti scandiscono il lavoro di quel tempo, agendo come formidabile motore per rinnovarsi; si opera per conquistare i riconoscimenti della giuria, gli elogi dei critici ed il sempre auspicato risultato commerciale.

Le missive -viene spiegato- “rappresentano un nuovo spunto per indagare sul metodo lavorativo di Gio Ponti e sul suo rapporto con la Richard-Ginori, improntato a una costante ricerca di innovazione delle idee e del prodotto, e offrono al contempo l’occasione per riflettere sulla creatività italiana, di cui è stato uno tra i maggiori rappresentanti a livello internazionale”.

Le opere scelte evidenziano, invece, il legame stretto tra l’idea ed il prodotto stesso, affiancando il disegno o lo schizzo originale all’oggetto poi effettivamente realizzato. Ponti riusciva a ponderare ed a realizzare più concetti nello stesso momento, lavorando giorno e notte, pensando e disegnando continuamente, ovunque e su ogni cosa avesse a disposizione. La rassegna offre diverse testimonianze, ad esempio appunti su fogli di taccuino, cartoline, carta da lettere intestata hotel Lotti di Parigi (impiegata durante il soggiorno per l’Esposizione universale del 1925), lettere dattiloscritte.

Il carteggio fra Gio Ponti, che lavora a Milano, e la Manifattura di Doccia comprende 230 lettere, per un totale di 426 reperti. Sebbene non sia completo, insieme ai disegni, ai cataloghi, alle foto d’epoca e ad altri materiali, conservati nell’archivio del Museo Richard-Ginori, “costituisce una testimonianza impareggiabile per lo studio della produzione pontiana di Doccia e più in generale per la conoscenza dell’artista”. Oltre a fornire dati utili per stabilire la cronologia e l’attribuzione delle ceramiche, le epistole presentano un punto di vista ravvicinato sul lavoro del protagonista e sul suo modo di operare. Molte sono dirette a Luigi Tazzini, il braccio destro a Doccia. Palesano il rapporto di estrema fiducia tra i due, un rapporto non solo professionale ma anche di amicizia e di rispetto. Si legge inoltre di come siano state coinvolte altre personalità: gli scultori Libero Andreotti e Italo Griselli, l’architetto Giovanni Muzio, la decoratrice Elena Diana, il pittore di maiolica Vittorio Faggi...

Alberello portafiori con decoro a bugne: il bozzetto ad inchiostro e matite raffigurato su una lettera (inviata nell’ottobre del 1924 da Gio Ponti all’allora direttore della fabbrica di Doccia, Carlo Zerbi) e poi la sua concretizzazione, nel 1933, come porcellana dipinta a mano in oro, verde e porpora. Fu concepito, insieme ai porta menu e ad altri piccoli oggetti coordinati, quale nuova soluzione per ornare la tavola
Alberello portafiori con decoro a bugne: il bozzetto ad inchiostro e matite raffigurato su una lettera (inviata nell’ottobre del 1924 da Gio Ponti all’allora direttore della fabbrica di Doccia, Carlo Zerbi) e poi la sua concretizzazione, nel 1933, come porcellana dipinta a mano in oro, verde e porpora. Fu concepito, insieme ai porta menu e ad altri piccoli oggetti coordinati, quale nuova soluzione per ornare la tavola

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