Ricordato in alcuni francobolli del suo Paese dopo la riabilitazione -per esempio il 50 heller ancora cecoslovacco del 9 gennaio 1990, quando divenne presidente della Repubblica- Václav Havel è l’autore di un libro postale, “Lettere a Olga” (edizione in italiano di Santi Quaranta, 488 pagine, 15,00 euro).
Raccoglie le missive da lui scritte in prigione tra il 4 giugno 1979 e il 4 settembre 1982, mentre scontava una condanna inflittagli dal regime comunista per la sua coraggiosa difesa dei diritti umani. “Non è solo una corrispondenza, una semplice testimonianza della vicenda personale del celebre drammaturgo, ma lo straordinario racconto di un percorso dello spirito, una graduale e caparbia indagine interiore verso le radici dell’esistenza e dell’agire umano”.
Quindi, non si tratta di lettere d’amore, come il titolo suggerisce, anche se il rapporto con la moglie, intimo ma apparentemente privo di romanticismo e per certi versi enigmatico, è una sorta di filo rosso che accompagna in modo discreto il lettore. La vita da carcerato di Václav Havel, un mondo a prima vista poco presente nel libro, in realtà ne permea quasi ogni pagina, condizionando la forma e la struttura dell’opera stessa.
La situazione di recluso lo sollecita incessantemente a interrogarsi sulla relazione dell’uomo con la dimensione assoluta dell’essere. È quindi un itinerario dall’individuale all’universale, pervaso spesso da un sottile umorismo, che segna costantemente il pensiero dell’artista, preziosa “radiografia” della vittoria di Havel sulla repressione censoria, emblema di un’alta dissidenza morale, ma nello stesso tempo riflessione sulla condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo. Una riflessione che rimane, dopo quasi trent’anni, di attualità.