“È da molti e da tempo che si parla di un catalogo filatelico italiano”. Così iniziava un articolo pubblicato, nel numero dell’11 gennaio 1913, dal mensile napoletano “Il bollettino filatelico” diretto da Roberto Palmieri.
“Innanzi tutto -si legge nella nota non firmata- notiamo con rammarico che l’Italia è la nazione più trascurata in fatto di filatelia, pur essendo esteticamente e storicamente la più importante, cioè per finezza di incisione e per antichità; i francobolli della Toscana del 1849 (in realtà, del 1851, ndr), quelli del Napoletano del 1858, e quelli di Sicilia del 1859 ne sono una prova”.
Gibbons, Scott, Sens, Yvert & Tellier sono le case editrici che vengono citate, ma nessuna pubblica nella lingua di Dante, nemmeno per il dizionario associato, così da facilitare i collezionisti per la consultazione. “Un catalogo italiano quindi anche per questa ragione s’imporrebbe. Ma come ottemperare a tanto? Ostacolo insormontabile, per lo meno pel momento, la difficoltà della spesa. Data la poca diffusione della filatelia in Italia, e lo scarso numero dei filatelisti, nessuno prende un’opera della quale è sicuro non ricavare neppure le spese”.
“L’ignoto redattore fu facile profeta”, conferma oggi l’esperto Paolo Vaccari. “Per avere un vero riferimento nazionale bisognò aspettare altri dieci anni ed una Guerra mondiale: la prima edizione del «Catalogo dei francobolli d’Italia» (più noto come «Catalogo della Vittoria», dal francobollo rappresentato in copertina) è comunemente considerato il repertorio più antico; risale soltanto al 1923. In 460 pagine comprende anche Uffici all’estero, Colonie, Occupazioni, Fiume e San Marino. Oggi è diventato, oltre ad un importante riferimento bibliografico, un oggetto d’antiquariato. Cinque anni fa, ad esempio, lo proponemmo nella nostra asta a 120,00 euro; trovò compratore a 310,00!”.