Fin qui, nella notizia precedente, l’esperienza personale. Ma qual è il suo approccio? “L’attenzione al francobollo come veicolo di una particolare immagine dell’Antichità è un tema su cui lavoro da anni, sollecitato da colleghi che conoscono i miei trascorsi filatelici e le mie sensibilità di studio”, prosegue Umberto Livadiotti nell’intervista con “Vaccari news”. “Certamente, però, alla base devo riconoscere gli stimoli suggeriti dal professor Andrea Giardina. È stato lui per primo a suggerirmi di guardare al francobollo in questi termini, come a un documento freddo che veicoli l’idea che del passato hanno e propugnano le autorità. Giardina ha studiato il mito di Roma, il mito di Augusto, ricorrendo sempre anche alla filatelia. E trent’anni fa, prima di internet, non era semplicissimo rimediare buone immagini dei francobolli. Per questo c’ero io”.
Com’è andata la sua conferenza di Santa Maria Capua Venere? “Non mi sembra che fosse un’aula molto affollata, come del resto mi aspettavo. L’organizzazione ha dato la mazzata finale, posizionando in contemporanea al nostro panel «Storia antica nel presente» una tavola rotonda, «La public history e il passato remoto», cui partecipavano nomi di ben maggior richiamo. Mi sembra tuttavia che i pochi intimi siano riusciti a seguire il discorso. Le immagini delle cartevalori postali, tanto più se ingrandite su uno schermo, di solito affascinano e incuriosiscono il pubblico. Io intendevo principalmente incuriosire, stimolare, avvertire i colleghi che esiste un percorso di ricerca ancora inesplorato”.
Ha presentato il tema in altri luoghi? “Alla Sapienza di Roma, dove sono cultore della materia in Storia romana, mi capita di svolgere seminari o lezioni di approfondimento incentrate sulla riattualizzazione della storia antica da parte delle ideologie e delle istituzioni ottocentesche e novecentesche. In questi casi, l’analisi della produzione filatelica non manca mai. Il progetto inconfessato è sviluppare le riflessioni in un vero e proprio libro, che descriva le trasformazioni del ricorso all’evocazione dell’Antichità nel francobollo italiano. È un lavoro che manca. Per il momento, tutti gli studiosi che si sono cimentati, episodicamente o meno, ad affrontare l’argomento si sono per lo più limitati ad indagare la produzione filatelica del periodo fascista”.
Ha fatto altri lavori simili? “Sono stato fra i curatori della mostra «Archeologia e filatelia. L’arte degli etruschi nella filatelia di tutto il mondo»; su analogo tema ho pubblicato anche un intervento. Si aggiunge poi un contributo per due francobolli «archeologici» del Regno d’Albania; infine ho partecipato alla stesura di un testo riguardante «orientalismo e propaganda» nelle produzioni filateliche dei Paesi del Vicino Oriente, evocanti l’Antichità. Che, ahimè, è da tempo in attesa di vedere la luce…” (fine).