Di certo è una delle serie classiche più note, come minimo per la curiosa grafica che ha originato il nomignolo. Ne scrive sul numero 219 de “Il foglio”, ovvero il periodico dell’Unione filatelica subalpina, Andrea Mori. È l’articolo “Gli «occhi di bue» del Brasile”. “Uno studio dettagliato ed esaustivo” -annota l’autore- è risultato oggetto della “collezione di Luis Alemany Indarte che ha vinto alcuni grand prix internazionali incluso il Campionato mondiale del 2008 in Israele”. Poi il lavoro fu disperso in un’asta di Corinphila nel 2013 e dal relativo catalogo vengono tratte le immagini utilizzate per l’intervento. La produzione delle cartevalori, avviata nel 1843 (il debutto è dell’1 agosto, declinato nei tagli da 30, 60 e 90 reis), continuò per tutto l’anno. Attraverso l’uso, “le tavole di stampa si usurarono col risultato che la stampa dei francobolli delle tirature più tarde risultò più impastata e meno nitida”. Ora gli appassionati distinguono tra “prime impressioni” e “impressioni usurate”. Gli esemplari usati “non possono essere considerati rari in termini assoluti, ma l’abitudine di apporli al retro delle corrispondenze e spesso usarli come chiudilettera rende relativamente poco comuni quelli totalmente privi di difetti. Invece, come sempre succede per le prime emissioni ottocentesche, i multipli, i blocchi e le affrancature «multicolori» (anche se nel caso specifico il termine è improprio) sono sempre poco comuni, rari ed in certi casi molto rari anche se su frammento”.