“Nella cassetta ci sono buste di ogni tipo, con l’indirizzo stampato, e so che portano tasse, bollette, scadenze o richieste varie di danaro, lettere burocratiche e disanimate dove sei solo un nome e un indirizzo”. Lo spiegava qualche giorno fa Raffaele La Capria sul “Corriere della sera”.
Chissà se lo scrittore ha letto “Tutti ci chiedono 1 euro” (130 pagine, 10,00 euro).
“Non c’è giorno -confermano dalla casa editrice del titolo, Dissensi- che le nostre cassette della posta non siano invase da nugoli di dépliants, brochures, bollettini”. Nel caso specifico, l’autore, Vincenzo Di Mattia, ha fermato l’attenzione sulle organizzazioni umanitarie che, con appelli disperati e immagini devastanti, chiedono contributi con toni a volte moralmente ricattatori. “C’è chi strappa senza scrupoli e chi invia qualche euro tanto per sentirsi con la coscienza tranquilla”. Ma c’è una larga fascia di società che da questo “grido” viene turbata con veri e propri complessi di colpa e tenta di farsi carico del disagio sociale di una grande fetta d’umanità, pur con tanti interrogativi: dare? Perché dare? Quanto è giusto dare? Perché questi Paesi sono poveri rispetto a un Occidente “brutto, sporco e cattivo”? Perché la nostra storia e la loro sono così diverse?
Dunque, “non cestini il conto corrente e corri allo sportello postale e ti chiedi: perché mille famiglie detengono un reddito sufficiente a sfamare un miliardo di persone?”. È il dramma, la domanda, la confessione. Ed il percorso di coloro che, superato un senso di fastidio, stendono poi la mano verso chi domanda.