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editor Fabio Bonacina


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Tra telecomunicazioni, poste e ferrovie per scoprire aspetti connessi al conflitto ma poco noti. Ieri una giornata intensa all’Università di Modena e Reggio Emilia

Il moderatore, Andrea Giuntini
Il moderatore, Andrea Giuntini

Le comunicazioni durante la Prima guerra mondiale? Un tema trascurato, anche ora nel bel mezzo delle iniziative per il suo centenario. L’ha detto e ribadito Andrea Giuntini, docente all’Università di Modena e Reggio Emilia ieri nelle vesti di moderatore al convegno, svoltosi proprio a Modena, “Le comunicazioni: nuove tecnologie e nuova organizzazione”. Al microfono si sono alternati sette specialisti, che hanno puntato a tre ambiti: le telecomunicazioni, la posta e le ferrovie. Diversi, certo, ma in alcuni aspetti intersecati fra loro.

Così, Gabriele Falciasecca (Fondazione “Guglielmo Marconi”) ha parlato del ruolo del senatore Guglielmo Marconi, al tempo stesso scienziato ed imprenditore, che deve seguire le attività delle sue aziende nel Regno Unito ed in Italia (e per quest’ultima finisce in divisa tra Esercito e Marina). Il progresso permette di passare dalla trasmissione tra due interlocutori paritari a quella fra una fonte e più persone possibili; nel comunicare in battaglia, comunque, occorre privilegiare un preciso destinatario, quale potrebbe essere una nave.

Non ci sono solo i progetti vincenti del premio Nobel, progetti peraltro limitati nei mezzi, come dimostrano le appena quindici macchine radiotelegrafiche e l’unica stazione radiogoniometrica schierate dal Bel Paese. Gli archivi -ha detto Alessia Glielmi (Università di Roma Tor Vergata)- permettono di scoprire persino idee balzane; alcune trovano una prima sperimentazione, altre finiscono direttamente in un cassetto. E non ci sono solo le scelte tecnologiche. Fra i mezzi più impiegati per inviare notizie resta il tradizionale piccione viaggiatore. Ogni batteria conta su duecento pennuti che possono recapitare altrettanti messaggi al giorno.

Qualche numero è stato dato da Giovanni Paoloni (Università La sapienza di Roma), che ha ricordato lo sforzo dell’Italia postunitaria nell’uniformare le diverse reti telegrafiche precedenti. Ciò non basta; lo dimostra il fatto che, statisticamente, ogni dispaccio, per raggiungere la meta, deve essere trasmesso due o tre volte. Quanto alla radiotelegrafia, è ancora ai primordi, sottoutilizzata ed altalenante; la storica stazione di Coltano è costruita soprattutto per relazionarsi con il Sudamerica, evitando i cavi sottomarini controllati da Londra.

Il tema della posta aerea è stato affrontato da Bruno Crevato-Selvaggi (Istituto di studi storici postali “Aldo Cecchi” onlus). I filatelisti conoscono i due voli del 1917 caratterizzati da francobolli specifici (il Torino-Roma ed il Napoli-Palermo, entrambi con ritorno), ma i test sono ben più ampi. Si comincia, nel Regno Unito e poi in Italia, già nel 1911, quindi in Libia per lanciare sugli ottomani, oltre alle bombe, i volantini. Quanto alla Grande guerra, le fonti specifiche sono poche. Ad ogni modo, il trasporto in quota dei dispacci si concentra su due rotte, tese ad evitare l’impiego di navi poiché a rischio a causa dei sommergibili. Ecco quindi il dossier tra Brindisi e Valona e principalmente quello tra Civitavecchia e Terranova, l’attuale Olbia.

L’attenzione di Mario Coglitore (Università ca’ Foscari di Venezia) si è soffermata sulla posta militare, garantita dai cosiddetti “assimilati”, ossia da personale delle Poste che indossa l’uniforme. La normativa del settore risale al 1913, ma nel 1915 già è superata e bisogna rimediare. Viene creata, così, una struttura tipicamente ministeriale, però calata nella situazione bellica. Fulcro operativo sono le quattro casse degli uffici da campo (la dotazione originaria risale al 1890), capaci di offrire tutto il necessario, dalla cancelleria alla modulistica, dagli attrezzi del mestiere al mobilio di base. Gli addetti devono gestire una mole enorme di corrispondenze e dal luglio 1915 si aggiungono i pacchi; quando necessario devono recarsi a ridosso della prima linea (è la “posta volante”, il cui incaricato indossa un contenitore dove i mittenti imbucano lettere e cartoline).

Ma come si spostano persone e merci? L’ha spiegato Stefano Maggi (Università degli studi di Siena). Ci sono cavalli, asini e muli; risultano ancora pochi i mezzi a motore come i camion, presto divenuti fondamentali nelle retrovie. Il resto lo fa il treno. Il concetto di tradotta è perpetuato persino da poesie, canzoni e giornali di trincea. Il relatore ha accennato anche alle donne, finite nelle fabbriche per sostenere la produzione collegata, e alle ferrovie smontabili a scartamento ridotto, collocate rapidamente laddove servono e poi smantellate. L’impegno per il conflitto, è ovvio, fa sì che si riduca il servizio lungo le altre strade ferrate, quelle più lontane dal fronte.

Compito di Ernesto Petrucci (Fondazione Fs italiane) è stato mostrare l’importante sviluppo ferroviario registrato dal 1900 al 1915. Nel 1905 nascono le Ferrovie dello stato. Durante la guerra esse sono chiamate ad un servizio immane; gli addetti vengono denominati la “sesta armata combattente”. In questa fase storica va annotata la sistemazione ferroviaria di città, porti e valichi; inoltre, il comparto passa dall’approccio artigianale a quello industriale. Ha fatto notare, poi, diversi elementi che dimostrano una preparazione occulta al conflitto: dal 1908 si potenzia lo scalo di Mestre (immaginando che l’area prima o poi sarebbe stata coinvolta), si realizzano le carrozze ospedali ed i carri per trasportare i soldati, i militari affiancano i ferrovieri a bordo, vengono aperte le scuole per le operaie. Come dire: quel 24 maggio non fu per nulla una sorpresa…

I relatori: nella prima foto Gabriele Falciasecca, Alessia Glielmi e Giovanni Paoloni; nella seconda Bruno Crevato-Selvaggi e Mario Coglitore; nella terza Stefano Maggi ed Ernesto Petrucci
I relatori: nella prima foto Gabriele Falciasecca, Alessia Glielmi e Giovanni Paoloni; nella seconda Bruno Crevato-Selvaggi e Mario Coglitore; nella terza Stefano Maggi ed Ernesto Petrucci

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